Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Quando i buoni propositi vacillano
Come abbiamo trascorso il terzo lunedì di gennaio appena passato? La domanda un po’ strana si riferisce al fatto che dal 2005, secondo il dottor Cliff Arnall dell’Università di Cardiff, si riconosce il “Blue monday”, sì proprio il giorno più triste dell’anno, quello il cui livello di malumore dovrebbe battere tutti gli altri lunedì dell’anno. Nessuna genialità, confermiamo tutti la teoria del professore sapendo che a gennaio fa decisamente freddo, è ancora piuttosto buio, le feste di Natale sono passate e arrivano i conguagli delle bollette e della carta di credito. Tra i riti di ogni anno nuovo c’è anche quello di immaginare dei cambiamenti e formulare buoni propositi, così come recita il detto “Anno nuovo, vita nuova”. Pare che la parola chiave “buoni propositi” sia tra le più googlate proprio all’inizio dell’anno, per poi praticamente estinguersi verso la fine di gennaio. L’entusiasmo, più che la motivazione, spinge a formularli, poiché buona parte di essi viene ben presto accantonato.
Ma perché i cosiddetti buoni propositi sono spesso destinati a fallire?
Ogni nuovo anno stimola a riflettere sul futuro e a immaginare una versione migliore di sé.
Questa proiezione ideale, inizialmente carica di slancio, si scontra, però, con la realtà quando i sogni non vengono trasformati in progetti e verificati nella loro fattibilità e sostenibilità.
Ed è proprio a partire dalla seconda metà di gennaio che spesso questi sogni-non-progetti iniziano a vacillare. Questa presa di coscienza può generare frustrazione, ansia e tristezza. Darsi obiettivi realizzabili, invece, aiuta ad abbracciare il cambiamento. Molto spesso, infatti, nello stilare la lista dei buoni propositi le persone si fissano non su ciò di cui hanno realmente bisogno per star meglio, ma su ciò che pensano si debba fare. Capita, così, di mollare proprio perché, nel profondo, un dato proposito è dettato da condizionamenti esterni e non appartiene veramente alla persona e al suo ascolto. Fondamentale è, poi, essere disposti a cambiare, magari anche solo perché stanchi di come vanno le cose. Il cambiamento, quando è cercato, è un viaggio di crescita personale, un processo che consente l’autorealizzazione.
Esso, comunque, è un fenomeno universale: tutti nel corso della vita, volenti o nolenti, si sono ritrovati a cambiare e cambiati.
La vita è, infatti, ciclicamente sottoposta a trasformazioni che riguardano i suoi vari ambiti come gli studi, il lavoro, la casa, la salute, la famiglia, l’amicizia e l’amore.
Il cambiamento costituisce un elemento essenziale grazie a cui la nostra vita avanza e... vive!
E se la preoccupazione per determinati cambiamenti può essere fisiologica, la resistenza attiva a qualsiasi forma di cambiamento non lo è. Iniziare un nuovo cammino può anche spaventare, ma passo dopo passo ci rendiamo conto di quanto era maggiormente pericoloso rimanere fermi. Del resto “Chi a cinquant’anni vede il mondo così come lo vedeva quando ne aveva venti, ha sprecato trent’anni della sua vita” (Muhammad Ali).