Da quasi un mese, nella sua malattia, Francesco è sostenuto giorno e notte da una incessante preghiera...
V domenica di Quaresima. Pellegrini verso Pasqua: il passo dell’affidarsi

èoggi il “passo dell’affidarsi”, nel pellegrinaggio di speranza verso Pasqua. Un passo dal quale dipende la vita: la vita di una donna “sorpresa in flagrante adulterio”, ma anche la vita di coloro che l’accusano davanti a Gesù. Ma pure la vita dello stesso Gesù.
Già giudicati
La situazione è crudelmente semplice: un’adultera, che la Legge di Mosè condanna a essere lapidata a morte (Dt 22,24), e che serve a scribi e farisei come pretesto per condannare Gesù. Condannarlo come trasgressore della Legge se l’avesse assolta, oppure come traditore di se stesso se avesse smentito il suo annuncio di misericordia condannandola. Sono entrambi “messi in mezzo” a questo cerchio pronto al giudizio. Ma l’atteggiamento di Gesù, per quanto rischioso, è quello di chi non è interessato a quel gioco: “Si chinò e si mise a scrivere col dito per terra”. Tante le interpretazioni di quel che stesse scrivendo. Aggiungiamone ancora una: i fatti della nostra vita sono scritti nella polvere davanti a Dio, e il soffio della sua misericordia può riplasmarne il significato. E, infatti, quanto accade di seguito è davvero “miracolo di misericordia”.
Il miracolo dell’affidarsi
Prima di tutto, imprevedibilmente, ha effetto il rimandare ciascuno degli accusatori a un esame della propria coscienza: nella lapidazione è il testimone del reato contro la Torah ad avere il diritto di scagliare la prima pietra; Gesù reinterpreta tale prescrizione della Scrittura: solo chi è senza peccato possiede un simile diritto (vedi la lunga polemica di Paolo contro chi ritiene di poter giudicare senza pietà in base alla Legge: Rm 2,1ss). E gli accusatori accettano di “ritornare in se stessi”, “uno per uno”, e lasciano il luogo del tribunale improvvisato.
In secondo luogo, rimanendo accanto alla donna, accetta di rischiare con lei “nel mezzo” del cerchio del giudizio. E quando gli altri se ne sono andati, il suo rivolgersi a lei le restituisce dignità di persona con cui dialogare da pari a pari, senza ridurla a un “caso giuridico”; il suo rifiuto a condannarla la riaffida a se stessa e le dona vita nuova. E oso sperare che, come è riuscito a influenzare il cuore dei suoi accusatori, anche con lei, il suo restituirle vita abbia potuto renderla capace di ricostruire relazioni e dignità, con un marito che si sapeva tradito e nella comunità che la sapeva infedele. Più impegnativa la prospettiva per lei, rispetto a quella degli scribi e dei farisei, ma perché non pensarla possibile?
Sia gli accusatori sia l’accusata si fidano / si affidano alla parola di Gesù. Ma Gesù stesso si affida a loro: se i primi non avessero accettato il suo invito a “rientrare in se stessi”, non solo la donna, ma anche lui sarebbe stato a rischio di lapidazione. Di fatto, poco dopo, altri ancora ci proveranno (Gv 8,59; 10,31). E si affida ancor prima alla sua esperienza del Padre: è in essa che trova la risposta che restituisce la Legge a se stessa.
Una Legge che ritrova il suo scopo
Con il suo comportamento, infatti, Gesù restituisce alla Legge il suo intento primario: rendere possibile la vita nei rapporti con gli altri, con se stessi e con Dio. E lo fa grazie alla propria profonda relazione con il Padre: Gesù giudica solo insieme al Padre, e secondo la volontà del Padre, che è vita (Gv 8,15-16; 5,26-27.30). Una legge che sappia mettere limiti alle realizzazioni mortifere del desiderio umano, sia nell’onnipotenza del potere, o dell’avere, o del piacere... è legge che stimola a crescere, a cercare altre vie per costruire vita più degna di essere vissuta. Gesù riconosce, quindi, alla legge la sua funzione di umanizzazione della convivenza, ma, insieme, la pone nuovamente a servizio della vita che il Padre continuamente desidera rigenerare, in noi e attorno a noi.
La chiamata a ricostruire un mondo di giustizia e misericordia
Sembra che stia rabbuiandosi un tempo in cui la legge viene distorta a servizio di chi è più potente, sia in politica, sia nell’economia, nelle armi o nella tecnologia. La chiamata a noi e alle comunità in cui viviamo è forse allora quella di ricostruire condizioni in cui ci si possa affidare a relazioni capaci di riconoscere la necessità sia di giustizia sia di misericordia, facendo sì che la seconda plasmi l’attuazione della prima. Prima di tutto fra uomini e donne, riconoscendo il rischio di rimanere anche all’interno della Chiesa, al di là di affermazioni di principio, ancora legati a stereotipi talvolta reciproci di disistima e di sospetto. “Pellegrini di speranza”, custodi del bene comune, rimane compito impegnativo da compiere insieme a tanti altri e altre che ancora sperano in possibilità di vita dignitose per tutti. Rispondendo così alla preghiera del Padre: “Dio, rinnovamento costante degli esseri, ci invita a rinnovarci costantemente gli uni con gli altri” (Dolto).