Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Con Papa Sarto lo sport entra in Vaticano
Mi sono sempre chiesta se l’intuizione di Pio X sulle potenzialità dello sport fosse dovuta al suo passato di parroco così vicino alle persone, o all’influenza del suo segretario, cardinale Merry del Val, discendente da una famiglia nobile ed educato in un college inglese, o all’incontro con Pierre de Coubertin, che nel febbraio 1905 gli chiese sostegno per celebrare i Giochi olimpici del 1908 a Roma.
In ogni caso, resta il fatto che a Pio X noi tutti, sportivi e non, siamo debitori di aver spalancato le porte del Vaticano allo sport, togliendolo da quelle attività che si trascinavano dietro un’aura di immoralità, mal tollerate per non dire osteggiate. Pio X ebbe invece l’intuizione, assolutamente straordinaria per l’epoca, di intercettare tutto il potenziale di un’attività ancora poco diffusa ed elitaria, quale seme di una pastorale sportiva a cui nessuno dei suoi successori rinunciò.
Se la Chiesa si è occupata di sport, lo si deve a Pio X. A riconoscerlo sono, in primis, i suoi successori e gli oltre 800 contributi tra discorsi, interventi, indirizzi di saluto che, a partire dal 1903 i papi hanno riservato al mondo sportivo e ai suoi protagonisti.
Uso senza timore parole come straordinaria intuizione, perché di fatto anche tra gli sportivi non era chiaro, a inizio Novecento, il potenziale dello sport. A Pio X, invece, è chiarissimo da subito.
Lo dimostra la sua immediata decisione di aprire i cortili vaticani ai saggi domenicali di ginnastica dei ragazzi che frequentavano gli oratori romani. Salti e capriole con polpacci e braccia in bella vista destano scandalo, ma Pio X non se ne cura e alla domanda di un cardinale francese poco disponibile a questa novità che gli chiese “Santità, ma dove volete andare a parare con queste attività?”, Pio X rispose candidamente in veneto: “Caro elo, in Paradiso”.
Lo sport che unisce, affratella, richiede impegno e spirito di sacrificio, rispetto delle regole e dell’avversario, da Pio X in poi è riconosciuto come una palestra di virtù e buone qualità, che possono elevare l’essere umano lasciando sempre al centro la sua dignità. Coltivare uno sport sano e proiettato a dare il meglio di sé, significa infatti ambire a vittorie più elevate di quelle che consegnano una medaglia sulla linea dell’arrivo.
E’ tale la capacità di Pio X di intuire il nuovo sentiero che si apriva, che è sempre a lui che dobbiamo anche l’accoglienza degli sportivi disabili. Ragazzi sordi e ciechi fanno parte delle squadre che si esibiscono davanti al papa e verso le quali Pio X esprime una particolare benevolenza con parole di elogio e affetto. Un atteggiamento così nuovo e dirompente che occorrerà attendere Giovanni XXIII e i Giochi di Roma 1960 per tornare a parlarne serenamente.
Pio X è un assoluto innovatore. E’ così avanti nella sua visione dello sport che ci vogliono decenni per comprendere in pieno le sue scelte.
Benedetto XV si trovò ad affrontare temi ben più urgenti durante il suo pontificato, che coincise anche con il primo conflitto mondiale, ma Pio XI, invece, ne seguì le orme. Per Achille Ratti, il “papa alpinista”, fu facile paragonare le ascensioni materiali a quelle spirituali, nascondendo dentro il linguaggio alpinistico le esortazioni ai giovani a non mollare, sostenendoli negli anni difficili in cui il regime fascista chiudeva la Fasci e tutte le organizzazioni giovanili, strumentalizzando lo sport a fini nazionalistici. Ecco perché, dopo di lui, Pio XII non ebbe altra scelta se non quella di andare a rafforzare i contrafforti morali dello sport. I suoi discorsi ad atleti, allenatori, medici sportivi, dirigenti, persino giornalisti sportivi sono ancora oggi pagine attualissime.
Ecco che emerge con forza il concetto che non tutto lo sport è uguale. Che affinché questo possa assolvere a delle funzioni educative deve essere in primo luogo ispirato da sani principi, deve darsi un nucleo di valori forti, irrinunciabili, la conditio sine qua non deve essere il rispetto della persona, la centralità dell’uomo, la sua dignità.
Con la celebrazione dei Giochi olimpici a Roma nel 1960 vedremo Giovanni XXIII accogliere schiere di atleti provenienti da ogni parte del mondo, con il massiccio ingresso nella famiglia olimpica anche di Paesi di recente indipendenza. E’ una tale sorpresa il desiderio di così tanti atleti di assistere alla celebrazione della messa in piazza San Pietro, che si dovettero cercare con urgenza ulteriori 30 pullman per poterli fare giungere tutti. Da quel momento ogni edizione dei Giochi vedrà anche la presenza di assistenti spirituali di varie confessioni religiose.
Se Giovanni XXIII, che vive gli anni della guerra fredda, evoca aggettivi come olimpico per parlare di fratellanza universale, non da meno sarà il contributo di Paolo VI allo sport. Sono sue alcune delle pagine più belle che possiamo leggere sullo sport, scritte da un pontefice. Paolo VI affronta già temi come il doping e il rispetto della salute degli atleti: mai la vita deve essere messa in pericolo. Essa è un bene prezioso da conservare e tutelare.
Sono anni in cui le richieste di incontrare il papa aumentano anche da parte degli sportivi e papa Montini è sempre lieto di accoglierli riservando loro messaggi che ci fanno anche sorridere, come il paragone degli atleti dello sci nautico con Gesù che cammina sulle acque.
Anche se non abbiamo discorsi di Albino Luciani come Giovanni Paolo I, non possiamo non ricordare una sua frase che oggi resta, a mio parere, una delle più belle. Da patriarca di Venezia, salutando la partenza di un’edizione del Giro d’Italia, disse: “Se tutto lo sport è umano, il Giro d’Italia è umanissimo”, andando anche a sottolineare uno speciale legame con il ciclismo che da Pio XII, grande sostenitore di Gino Bartali, in poi, non è mai mancato.
Il ciclismo, sport di fatica, praticato da ragazzi umili, è cronologicamente il primo sport verso il quale il Vaticano dimostra apertura, al di là dello sport legato al mondo degli oratori.
A far risaltare come mai prima il tema dello sport sarà Giovani Paolo II, a cui dobbiamo oltre un terzo di tutti gli scritti che i pontefici ci hanno lasciato sullo sport. Giovanni Paolo II è lui stesso uno sportivo: è l’atleta di Dio. E’ il Papa che incontrando i cardinali suoi connazionali chiede di essere ricordato anche come il Papa che sciava, andava in canoa, giocava a calcio. Sono centinaia gli atleti che incontra. Per lui lo sport è un passepartout per confrontarsi su temi importanti e dirompenti di quel periodo caratterizzato anche dal crollo del muro di Berlino. Non è un caso se, andando a esaminare le parole che ricorrono più volte nei suoi discorsi agli sportivi, troviamo: pace, solidarietà, fratellanza. Il Giubileo degli sportivi allo Stadio Olimpico è il simbolo sportivo di questo pontificato.
Va detto che i suoi non sono gli scritti più belli, più profondi. Pio XII, Paolo VI e addirittura Benedetto XVI scrivono pagine meravigliose sullo sport, ne sottolineano tutte le migliori potenzialità, quelle che correttamente indirizzate e coltivate elevano l’uomo e l’umanità. Si occupano di ogni risvolto della pratica sportiva, anche quando tocca tematiche nuove come l’ambiente, messo a repentaglio dalla costruzione di faraonici impianti (soprattutto in montagna).
Da ultimo Francesco, il Papa tifoso, che esorta i giovani a impegnarsi in tre cose: nella scuola, nel lavoro e nello sport. Che utilizza le metafore dello sport nei suoi discorsi: gioco di squadra, impegno per fare meta o fare gol, non accontentarsi di un pareggio: lo sport è un nuovo linguaggio per farsi capire anche dai più giovani.
E non sono solo le parole a essere prese a prestito dallo sport. Nell’arco di oltre un secolo di incontri e interventi, i papi prendono in prestito anche le strutture dello sport. Se prima erano gli atleti a entrare in Vaticano per incontrare il Papa, adesso è il Papa a incontrare i giovani nei grandi stadi, nei palazzetti dello sport, soprattutto durante i suoi viaggi all’estero.
Questo filo che si snoda in 120 anni di storia, sollecita in varie tappe anche la necessità di dare struttura a questo impegno. Dopo la nascita degli oratori come luogo deputato di incontro dei giovani anche sportivi (che si deve però a Leone XIII predecessore di Pio X), sarà Pio XII, insieme a Luigi Gedda, a porre le basi per la nascita del Csi, che porta avanti un modello di sport ispirato alla visione cristiana. Cronologicamente successiva è la nascita della fondazione Giovanni Paolo II per lo sport e della sezione “Chiesa e sport” nell’ambito del Pontificio Consiglio per i laici e anche nel Pontificio Consiglio per la cultura. Questi primi soggetti hanno collaborato nel 2018 alla realizzazione di quello che è stato definito il primo documento completo del Vaticano sullo sport, intitolato “Dare il meglio di sé”. Lo strumento, che ha coinvolto anche un gruppo internazionale di esperti, dà conto di quella che è la visione cristiana dello sport. Non esiste, infatti, uno sport “cristiano”, ma una visione cristiana dello sport che si fonda sul medesimo corredo di valori universali che è condiviso anche dal Comitato olimpico internazionale e persino dal sistema delle Nazioni Unite, che dal 1978 riconosce lo sport come diritto di tutti.
La scelta del titolo “Dare il meglio di sé” ci indica il punto di partenza per ogni sana politica sportiva: dare il meglio, impegnarsi secondo le proprie capacità, cercare di migliorare ogni giorno, da realizzare con impegno e sacrificio, lealtà e sentimenti di solidarietà verso il prossimo. Perché il competere non sia sinonimo di lotta e battaglia fine a se stessa, ma sia il cum petere latino: ovvero il tendere tutti insieme verso un obiettivo comune, trasversale e universale, affinché ciascuno, attraverso l’esperienza sportiva, ritrovi nell’altro il senso di quell’umanità profonda che ci rende tutti fratelli.
Da alcuni anni l’insegnamento di Pio X si è concretizzato anche attraverso Athletica Vaticana, associazione che propone esperienze sportive inserite nell’ambito anche delle attività federali internazionali e alla partecipazione di propri atleti cittadini dello Stato vaticano o naturalizzati tali, riconoscibili dai colori e dai simboli dello Stato vaticano.
Elemento distintivo di questo progetto non è tanto la partecipazione a gare internazionali (ricordiamo ad esempio i Campionati mondiali di ciclismo), quanto la testimonianza, nelle sedi sportive nazionali e internazionali, dei valori dello sport attraverso momenti di solidarietà condivisa con i più deboli, i fragili, gli esclusi, i poveri. Lo sport che unisce e rende tutti fratelli. Come Pio X aveva intuito.