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Editoriale: non tirare troppo la corda

Pensiamo che chi ha l’onere di governare un Paese debba avere capacità di mediazione e di smorzare i toni e, soprattutto, debba parlare poco e ancor meno irridere gli altri. Proprio come stanno facendo il premier Conte, qualche governatore regionale e molti sindaci della Lega.

10/01/2019

Entro la fine dell’anno la Camera dei Deputati è riuscita ad approvare “in zona Cesarini” la legge di Bilancio 2019. Le polemiche e lo scontro tra maggioranza e opposizione non sono certo mancati, non solo sui contenuti di essa, quanto piuttosto per il metodo di lavoro che ha costretto i due rami del Parlamento ad approvarla senza possibilità di discussione, con un voto di fiducia su un maxi emendamento presentato all’ultimo momento dal Governo. Certamente, se fosse stato all’opposizione, il M5S, come fece in altra occasione, sarebbe salito a protestare sui tetti di Montecitorio. Ma questa è la nemesi storica: chi si straccia le vesti per le “malefatte” degli altri, prima o poi, in barba alla retorica del cambiamento, si troverà costretto a fare le stesse cose (come confermano le ultime notizie sul salvataggio della banca Carige).

 

La fragorosa marcia indietro

Purtroppo, tanto ritardo nel consegnare al Parlamento il Def è dovuto a una ingenua e presuntuosa miopia politica. Salvini e di Maio hanno mostrato per tre mesi i muscoli alle istituzioni europee, andando allo scontro frontale e a volte irridendole. Ne siamo usciti tutti, anche noi cittadini, con le ossa rotte, mangiandoci nel frattempo un bel po’ di miliardi.

D’altra parte, i due vice premier dovevano mantenere le principali mirabolanti promesse elettorali che hanno fatto vincere loro le elezioni: il reddito di cittadinanza, l’“affossamento” della riforma Fornero, sicurezza e immigrazione.

Ora hanno dovuto, grazie alle estenuanti mediazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del ministro dell’Economia Giovanni Tria, abbassare il livello di tali promesse, ridimensionando la spesa e rinviando di qualche tempo la loro piena attuazione. A condizione che con i prossimi mesi, come molti prevedono, non arrivino al pettine problemi economici e di bilancio tali da vanificare le risorse stanziate. Ma di questo Salvini e di Maio sapranno anche stavolta trarre vantaggio: avranno materiale in abbondanza per la prossima campagna elettorale per le Europee. Indicare un nemico da incolpare, che sia l’Europa o l’opposizione o gli speculatori o la stampa o i sindaci dissidenti sul Decreto Sicurezza, fa sempre effetto sugli elettori. Almeno per qualche tempo.

 

Il nodo migranti

Oltre che ad alcuni sindaci e governatori di Regione che contestano certi aspetti, a loro dire “disumani” del Decreto Sicurezza, anche nella Chiesa si levano sempre più voci di protesta e forti preoccupazioni per i tanti migranti ai quali sarà impossibile dare lo status di “protezione umanitaria” e si troveranno a vivere come clandestini.

E’, poi, di questi giorni l’ennesimo scontro politico-sociale innescato da Salvini con il rifiuto di accogliere le 49 persone, tra cui donne e bambini, che dal 22 dicembre vagano nel Mediterraneo a bordo delle navi Sea Watch e Sea Eye.

Sulla vicenda, il vice premier ha buon gioco nel dire che le due navi, battenti per altro bandiera olandese e tedesca, non hanno rispettato le regole del mare e i presunti limiti delle acque territoriali libiche e che, in ogni caso, le imbarcazioni che soccorrono la gente nel Mediterraneo non possono pretendere, tra l’indifferenza degli altri Paesi europei, di approdare sempre e comunque nei porti italiani.

Resta, però, aperto il problema se sia lecito e umanamente sostenibile, girarsi dall’altra parte ogni volta che ci sono emergenze umanitarie del genere.

 

Gestire bene il consenso

Salvini sa bene che su questo terreno accumula consenso, per cui può permettersi di fare il duro e distribuire battute a effetto del tipo: non arretro di un millimetro; riappropriamoci dei confini; la pacchia è finita; sull’immigrazione decido io... e giudizi sferzanti verso chi lo critica. Può anche dire, con una certa ironica saccenza, che sull’immigrazione la maggior parte dei cattolici e dei parroci sono con lui e non certo con il Papa o certi vescovi.

Non dovrà, però, montarsi la testa (Renzi docet) e ritenersi quell’acclamato “salvatore” della Patria che può permettersi di andare contro tutti, compreso l’alleato M5S che, per alcune scelte del Governo, sta attraversando una grossa crisi politica interna. A tirare troppo la corda c’è il rischio che si spezzi e si rovini a terra; che si radicalizzino le contrapposizioni nel Paese e si incentivino divisioni dentro la Chiesa proprio sui temi, fondamentali per il cristianesimo, della carità e dell’accoglienza.

A Bossi non è servito a molto inneggiare alla secessione, coltivare il culto idolatrico al dio Po, snobbare i “vescovoni” che peroravano la causa degli immigrati e fare l’occhiolino ai tradizionalisti di Lefebvre: nel giro di qualche anno ha visto precipitare il consenso elettorale a un misero 4% (in occasione delle Politiche del 2001), con il rischio di non poter entrare nemmeno in Parlamento.

Pensiamo che chi ha l’onere di governare un Paese debba avere capacità di mediazione e di smorzare i toni e, soprattutto, debba parlare poco e ancor meno irridere gli altri. Proprio come stanno facendo il premier Conte, qualche governatore regionale e molti sindaci della Lega.

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