Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Settimana sociale, spazi e processi di cambiamento grazie alla partecipazione dal territorio
Partecipare è più di uno strumento. La sottolineatura del vescovo Michele Tomasi ha aperto la seconda parte della 37ª Settimana sociale dei cattolici trevigiani, che quest’anno, nell’ottica di un cammino prolungato e condiviso, traguardato alla Settimana sociale nazionale di Trieste, ha previsto degli ulteriori appuntamenti.
L’obiettivo della serata del 13 marzo, a casa Toniolo, era riprendere il filo di un cammino mai interrotto. Dopo le serate di fine settembre, infatti, vari gruppi, nel territorio, si sono ritrovati per analizzare delle “buone pratiche” di partecipazione (e altri lo faranno nelle prossime settimane). Un processo “dal basso” che costituiva il punto di partenza della serata.
Il Vescovo lo ha definito un cammino che “nutre e che ci fa sentire comunità nell’ottica del Bene comune, dove provare a trovare spazi, affinché tutti possano godere e trovare la propria dimensione, condividendo percorsi e buone pratiche per vivere assieme, quindi, la vita”.
In che modo, dunque, le buone pratiche e i percorsi partecipativi possono portare a una dimensione costante? Alcune indicazioni, in merito, sono arrivate dalla pedagogista dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Brescia), Livia Cadei, presentata da Andrea Pozzobon.
La parte, ha avvertito la relatrice in riferimento al significato etimologico del termine partecipazione, non ha lo stesso significato di “pezzo”, di “frammento”. L’orizzonte della parte è il Bene comune. La prof. Cadei ha, anche, invitato a non avere del termine “partecipazione” un’idea “romantica”, sottolineando la positività di tre verbi: osservare, intrepretare e orientare. In un processo partecipativo, proprio quest’ultimo verbo è decisivo, in quanto l’orientamento porta ad assumere un “impegno collettivo”. “Nella partecipazione - ha detto - è importante la finalità”. Non solo. La partecipazione, se autentica, assume un ruolo emancipativo e addirittura “eversivo”, nel senso che essa “è radicale, perché colma lo spazio tra chi governa e chi è governato, tra chi decide e chi subisce l’effetto delle decisioni, presuppone una delega di potere e sovranità e, dunque, mette seriamente in discussione gli aspetti di potere consolidati”.
La divisione in gruppi e l’ascolto di sei esperienze partecipative, tra quelle (circa il doppio) attivate in questi mesi (vedi il box qui a destra) hanno arricchito la serata.
“Informare”, “consultare”, “coinvolgere”, “cooperare” e “capacitare” le ulteriori azioni indicate dalla prof. Cadei e affidate al futuro cammino. Insieme all’invito, rivolto a tutti, a “non disabilitarci”, a non delegare ogni competenza ai cosiddetti “esperti”.
I tavoli attivati in diocesi
Per tutti persone, il gruppo, nato in seno all’Ac per promuovere riflessione e iniziative rispetto all’inclusione e alla disabilità, si è fatto promotore dell’organizzazione di una passeggiata “inclusiva”, con l’obiettivo di coinvolgere altri sogggetti che incontrano persone con disabilità. La realizzazione dell’esperienza ha messo in campo una rete di relazioni e contatti, favorendo nei soggetti coinvolti l’uscita dai propri “luoghi ordinari”.
Casa Giovanna è il progetto di accoglienza promosso e sostenuto dalle sei parrocchie della Collaborazione pastorale di Giavera Nervesa e dai missionari della Consolata di Casa Milaico. Accanto alla struttura, è nato il gruppo Migrando, che mantiene il contatto con il territorio e con la vicina “storica” casa di accoglienza di Giavera.
Spazio Bisciò (dedicato ai minori in povertà educativa, a Treviso) e il Progetto giovani, promossi dalla cooperativa La Esse, sono le esperienze ascoltate e prese in esame dalla scuola di formazione sociale S. Agnese. E’ stato messo in risalto il bisogno di incentivare e promuovere la partecipazione dei più giovani e, nel contempo, di recuperare e ridefinire la “comunità educante”.
Il Consiglio di famiglia è l’esperienza, già diffusa, sulla quale hanno riflettuto alcuni opertori pastorali dell’Ufficio di pastorale familiare. Una pratica che, nel lungo periodo, insegna uno stile di relazione basato sull’ascolto, il rispetto, la capacità di raggiungere decisioni condivise.
La testimonianza di una famiglia impegnata nella scuola è l’altra esperienza ascoltata da un gruppo di persone dell’Ufficio di Pastorale familiare, nella prospettiva di una virtuosa alleanza educativa.
Il gruppo di studio di Varago, che offre un servizio individuale ai ragazzi, e il gruppo Sicomoro, che nella stessa comunità segue da molti anni il reinserimento di detenuti, si sono reciprocamente ascoltati. Sottolineata la possibilità di cambiamento, a partire dalla fiducia nelle persone.