martedì, 01 aprile 2025
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L’intervista alla nuova direttrice dell’Ipm

Barbara Fontana racconta il percorso individualizzato per costruire una vita fuori dall’Istituto penale minorile

L’istituto penale per minorenni di Treviso ha una nuova guida. Si chiama Barbara Fontana e, da circa un mese e mezzo, ha preso il posto dell’ex direttore, Girolamo Monaco. Psicologa clinica e di comunità, educatrice professionale socio pedagogica e psicologa giuridica, per vent’anni ha lavorato nel privato sociale, in strutture residenziali per minori stranieri non accompagnati. In Ipm, prima di diventare la direttrice, è stata la coordinatrice pedagogica: “Alla notizia del trasferimento del dottor Monaco, ho scelto di provare a portare avanti la visione di gestione dell’Ipm che avevamo condiviso”, ha spiegato.

L’abbiamo raggiunta all’interno dell’istituto per capire quale forma prenderà la direzione della struttura. “Il mio approccio – ha chiarito la direttrice – è a lungo termine, perché non è possibile fare progetti sul qui e ora. Entro la fine dell’anno apriranno l’Ipm di Rovigo, L’Aquila e Lecce, e dunque ci sarà più capacità di accoglienza, andando ad alleggerire un sovraffollamento che è trasversale a tutti gli istituti, motivo per cui non è possibile prevedere la chiusura di Treviso, che tra l’altro, al momento, non è prevista in nessun documento ufficiale. Per quanto riguarda il Triveneto, i minori saranno convogliati su Rovigo, ma l’apertura di Treviso dipenderà dai numeri”.

Numeri che sembrano in aumento: “Lo sono. E le cause sono tante, potremmo parlare di post-Covid, di aumento dei reati, un allarme sociale che indirizza a forme più restrittive di pene, difficoltà delle comunità residenziali sul territorio, che sono poche e hanno poche risorse. Ma non è solo quello, mancano figure educative, riferimenti culturali, tutto è vissuto senza la condizione comunitaria della società, i giovani sono sempre più soli”.

E così arrivano in Ipm: “L’ipm è l’ultima spiaggia, ma parlando di minori, il nostro unico obiettivo è la rieducazione e la risocializzazione, allo scopo di restituirli a una vita di legalità. Sono ragazzi in età evolutiva, lo scopo dell’istituto penale è quello di fermare i ragazzi che non hanno trovato contenimento prima, farli riflettere sui propri agiti. Per farlo abbiamo due mezzi, in primo luogo la scuola, che se si tratta di minori stranieri non accompagnati, anche se in questo momento non sono molti a Treviso, diventa una prima scolarizzazione. E, in secondo luogo, le attività di laboratorio, compatibili con una struttura piccola come Treviso. Qui si fa musica, arte e grafica. Ogni ragazzo parte da qui per costruire il suo percorso individualizzato, alternativo e volto a ricostruire una vita fuori da qui, grazie alla riscoperta di abilità personali che facciano ritornare la persona a una dimensione autonoma e realistica. L’Ipm è un contenitore diverso rispetto alla società, c’è una base minima comune a tutti i ragazzi, sono tutti in difficoltà, ma qui non gli viene chiesto di essere performanti, gli viene dato ascolto”.

Al momento, nonostante la pressione per il numero di presenze più elevato rispetto ai dodici posti standard, il clima è buono: “La maggioranza dei minori è molto giovane, anche quindici anni e il clima è disteso, anche per la capacità del personale di polizia penitenziaria di lavorare in ottica educativa e di vicinanza. Non c’è contrapposizione fra i giovani detenuti e il personale. Invece, può capitare che ci siano dei contrasti tra ragazzi di Paesi diversi o a causa dell’ingresso di una persona particolarmente problematica, ma al momento c’è estrema collaborazione”. Oggi i ragazzi hanno anche accesso, due pomeriggi a settimana, al campo da calcio e basket della casa circondariale: “Un’apertura che aiuta a respirare. L’Ipm è un luogo piccolo, ma questa è anche la sua forza, perché è un luogo accogliente, dove c’è condivisione, scambio di parole e di sguardi. Infatti, i ragazzi hanno paura di essere trasferiti”.

Se c’è una fatica, che Fontana rileva nel suo nuovo incarico, è quello di affrontare la burocrazia che la tiene lontana dai ragazzi: “Il direttore, come il comandante, sono figure che i ragazzi riconoscono, orientanti, protettive. Il loro ruolo è quello di far sentire i ragazzi al sicuro. Non appena avrò fatto un po’ di pratica nella parte amministrativa – ha concluso la direttrice – tornerò a passare molto più tempo con loro”.

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