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Vecchie e nuove epidemie, serve solidarietà globale

Oggi la salute non può più essere vista come un problema locale (dell’Italia, del Veneto, di Treviso), bensì va considerata come un problema globale (del mondo intero). Solo partendo da questa consapevolezza, sarà possibile far fronte ai rischi che il nostro tempo è chiamato ad affrontare, di cui il coronavirus è solo un aspetto.

15/03/2020

In questi giorni si parla senza sosta del coronavirus, una minaccia che improvvisamente ha fatto irruzione nel nostro “bel paese”, nelle nostre città e persino nelle nostre case. Se il problema del Covid-19 è recente, da quando cioè alcuni mesi fa le notizie di una certa epidemia che dilagava in Cina hanno iniziato a giungerci, non è nuova tuttavia la questione della diffusione di alcune malattie oltre i confini circoscritti di un territorio, né la preoccupazione che questa eventualità suscita a livello internazionale. Cosa c’è, allora, di diverso? Il fatto che questo “territorio contaminato”, finora percepito come lontano da noi, è diventato, d’un tratto, estremamente vicino. E se ciò è accaduto, è perché oggi la salute non può più essere vista come un problema locale (dell’Italia, del Veneto, di Treviso), bensì va considerata come un problema globale (del mondo intero). Solo partendo da questa consapevolezza, sarà possibile far fronte ai rischi che il nostro tempo è chiamato ad affrontare, di cui il coronavirus è solo un aspetto.

 

“Vecchie” epidemie

Come si è detto, il problema che stiamo affrontando è nuovo, ma nello stesso tempo vecchio. Nuovo, perché il Covid-19 è un virus di cui non si aveva conoscenza sul piano medico e scientifico. Vecchio, perché nel mondo contemporaneo il timore del diffondersi di malattie su scala globale risale al lontano 1980, quando l’Hiv/Aids si presentò per la prima volta come un problema di tutto il pianeta. Addirittura, le Nazione Unite considerarono questa malattia al suo emergere come una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità, e ciò non sorprende se consideriamo che nel 2018, dopo quasi 40 anni dalla sua comparsa, i morti per Aids furono 770.000. Da allora, numerose epidemie si sono diffuse su scala globale, in particolare sindromi respiratorie gravi o febbri emorragiche, tra cui ricordiamo: la dengue (dal 1980, recentemente manifestatasi con prepotenza in alcuni Paesi), il Nipah (dal 1999), la Sars (dal 2002), la febbre aviaria (dal 2005), la febbre suina (dal 2009), la Mers (dal 2012), l’Ebola (dal 2014), lo Zika (dal 2015). Questo scenario che nel tempo si profilava, è stato accompagnato da una crescente consapevolezza da parte della Comunità internazionale: la salute è un problema globale. Lo smarrimento che sta generando il Covid-19 rivela tuttavia che, illusoriamente, un problema non viene percepito come proprio fintanto che non tocca da vicino. Nello stesso tempo, esso mostra come non siamo stati sufficientemente informati o non ci siamo sufficientemente interrogati su quanto stava accadendo in altre parti del mondo, ultimamente o in passato.

 

Minacce alla salute

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha individuato nel 2019 dieci grandi principali minacce alla salute globale, alcune più note di altre: l’inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici; le malattie non trasmissibili (per esempio il diabete o il cancro); la pandemia influenzale globale; la fragilità e la vulnerabilità di molti sistemi sanitari; la resistenza antimicrobica; l’Ebola e altre malattie trasmissibili; la mancanza di adeguate cure primarie in molti Paesi del mondo; il rifiuto di essere vaccinati; la febbre dengue; l’Hiv. Per quanto riguarda questi rischi, si può osservare prima di tutto che spesso non sono prevedibili, come ha sottolineato anche il quinto Congresso internazionale “One Health” (“Una salute”) tenutosi in Canada due anni fa. Questa imprevedibilità comporta anche una sensazione generalizzata di vulnerabilità e incertezza - che abbiamo toccato con mano in questi giorni -, perché qualcosa sfugge al controllo individuale o del singolo Stato. Un secondo aspetto, riguarda l’impatto più infausto che questi rischi possono avere nei Paesi più poveri, dove non ci sono risorse e attrezzature per far fronte alle emergenze sanitarie. Infine, non si deve sottovalutare che le implicazioni di minacce globali alla salute vanno al di là del benessere fisico e psichico delle persone, ma coinvolgono questioni relative alla sicurezza internazionale, alla crescita economica, al commercio mondiale, ai diritti umani.

 

Far fronte ai rischi

A fronte di questa situazione, qual è la risposta possibile? Alcune risposte vanno cercate sul piano scientifico. Pensiamo ai vaccini e al potenziamento della ricerca medica in questo ambito. Ma questo non basta. I rischi nell’ambito della salute oggi richiedono che le risposte vadano ancor prima individuate sul piano politico, istituzionale, sociale, dentro una visione globale, dove cioè ci sia reale consapevolezza che si tratta di problemi sanitari su larga scala e per i quali è necessario intervenire alla radice. Questo richiede, prima di tutto, una maggiore collaborazione tra Stati, con un investimento di fondi nel campo delle malattie infettive e con un intervento più deciso degli attori internazionali. E’ necessario, poi, privilegiare nell’ambito della salute interventi orizzontali, diretti cioè a rafforzare i sistemi sanitari, creando infrastrutture che nel lungo periodo siano effettivamente incisive e non tanto o non solo interventi verticali, cioè volti a risolvere un singolo problema o una singola emergenza sanitaria. Infine, e forse questo è il punto centrale, non sarà possibile far fronte efficacemente a queste sfide senza una “solidarietà globale”, la cui assenza ha generato non solo indifferenza, ma anche l’incapacità di dare una risposta adeguata a problemi imprevisti. Così, molti Paesi occidentali sono stati nel tempo più preoccupati di proteggere la loro stessa vulnerabilità, cercando di impedire che la minaccia varcasse i propri confini, anziché provare ad eliminarne le cause alla radice (Henk Ten Have, 2016). Speriamo di far tesoro delle esperienze fatte, soprattutto di quelle negative, per comprendere finalmente che il primo nemico è pensare solo a noi stessi e alla nostra salute “locale”. (Sabina Girotto, cooperatrice pastorale diocesana)

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