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Fare memoria a Venezia: dove l’anima inciampa

“Attraverso 5 itinerari, ci si addentra tra calli e campielli di Venezia fino a inciampare su queste pietre”, racconta l’autrice del libro “Pietre d’inciampo”, Stefania Bertelli. Tra le storie c’è anche quella di Bruno Rossi, eminente fisico italiano, che trovò rifugio negli Stati Uniti. Il suo nome è citato nel film “Oppenheimer”
19/03/2024

“Ecco, io metto in Sion un sasso d'inciampo e una pietra di scandalo; ma chi crede in lui non sarà deluso” scriveva San Paolo nella lettera ai Romani. Quasi duemila anni dopo, l’artista tedesco Gunter Demnig riprese questo passo delle Scritture per chiamare quelle piccole pietre in ottone da lui create per ricordare l’ultima abitazione delle vittime dello sterminio nazista, ormai diffuse anche sui selciati delle città italiane, tra cui Venezia. Recentemente, un libro (“Pietre d’inciampo. Cinque itinerari della memoria a Venezia (1943-1945)”, Nuovadimensione, 2024, pp. 120) raccoglie le storie dietro le 185 pietre d’inciampo presenti a Venezia. Pubblicato grazie al contributo di Iveser (Istituto veneziano Storia della resistenza) costituisce a tutti gli effetti un tentativo di riannodare i fili delle vite di giovani e anziani, uomini e donne tragicamente spezzati ottant’anni fa.

“Il libro è a tutti gli effetti uno strumento didattico e un modo di fare trekking cittadino. Attraverso 5 itinerari, ci si addentra tra calli e campielli di Venezia fino a inciampare su queste pietre”, ci racconta l’autrice, Stefania Bertelli.

All’interno del libro, vengono descritte le drammatiche vicende vissute dalla comunità ebraica veneziana tra il 1943 e il 1945 e le ripetute retate che condussero ad Auschwitz molti nostri concittadini. Come la storia di Giuseppe Jona, presidente della comunità ebraica veneziana, che il 17 settembre 1943 si suicidò pur di non consegnare i nomi degli iscritti alla comunità alle autorità fasciste, oppure la storia della grande famiglia Mariani, distrutta completamente dalle persecuzioni subite. “La prima retata, avvenuta tra 5 e 6 dicembre 1943, venne condotta interamente da italiani”, sottolinea con forza l’autrice, che ci invita a scoprire questa vergognosa pagina della nostra storia. Dalle pagine riemerge poi l’ inquietante vicenda del delatore Mauro Grini e del dottor “Manzoni”, che da Trieste si mossero tra Venezia, Firenze e Milano per scovare gli ebrei fuggiti dalla comunità giuliana. Le pietre di Venezia non raccontano, però, solamente le vicende della comunità ebraica cittadina, ma anche gli oppositori politici e gli internati militari italiani, coloro che dopo l’8 settembre 1943 si rifiutarono di combattere alleati con la Germania nazista: il dieci per cento di loro non fece ritorno e morì di stenti in Germania.

“C’è una storia in particolare che non conoscevo e mi ha colpito - ci racconta l’autrice -. E’ quella di Bruno Rossi, eminente fisico italiano che possedeva una casa al Lido di Venezia. A seguito delle leggi razziali fu cacciato dall’università di Padova e trovò rifugio negli Stati Uniti, dove lavorò a fianco di Enrico Fermi. Il suo nome è citato anche in un passo del recente film “Oppenheimer”. Nel frattempo, la sua casa al Lido veniva sequestrata dalla Repubblica sociale. Dopo la guerra, la fisica italiana, che aveva raggiunto picchi di eccellenza internazionale, ma aveva molti studiosi di origine ebraica, dovette ricominciare da zero. Credo che questa storia sia emblematica per capire quanto grande sia stata la perdita causata dalla deportazioni per la nostra cultura, italiana ed europea: sono state eliminate per sempre persone con le loro storie, i loro saperi”, ci fa riflettere Bertelli.

Le pietre d’inciampo vogliono riempire proprio questo vuoto. Il momento della posa, che avviene solitamente in gennaio alla presenza di Demnig stesso, è un momento semplice e al tempo stesso toccante. Si tratta di una passeggiata silenziosa che si snoda tra le calli e i ponti della città alla quale partecipano anche i discendenti delle persone cui si fa memoria, talvolta da Stati Uniti e da Israele. Spesso le pose sono accompagnate da letture o brevi inframmezzi musicali, senza retorica. La posa è un momento emozionante, perché è come se restituisse una tomba a queste persone che fino a ora non l’hanno mai avuta. L’esperienza veneziana di questo progetto, poi, si contraddistingue per coinvolgere le scuole del territorio, sia nelle cerimonia della posa, sia realizzando progetti formativi didattici. Una volta posate, queste pietre diventano parte della quotidianità: la comunità stessa “adotta” le pietre, prendendosene cura, pulendole e lucidandole.

E’ proprio il lavoro di comunità a dare forza al progetto delle pietre d’inciampo, come racconta Bertelli: “Quest’anno, sono state posate delle pietre d’inciampo anche a Mestre: siamo riusciti a individuare l’esatta collocazione per una di queste solamente di recente, dopo che un anziano ricordò il luogo dove udì il pianto di una madre, quando seppe della morte del figlio a cui è dedicata la pietra. Un’altra volta, una signora anziana scese dal palazzo in cui abitava per leggere le pietre dedicate a una famiglia deportata proprio da lì: lei era ragazzina, ma ricordava ancora quel giorno di quasi ottant’anni prima e quei suoi vicini di casa che non fecero mai ritorno. E’ questo lavoro di memoria collettiva a dare forza all’intero progetto” sottolinea Bertelli.

“Spero che i miei lettori leggano la guida, inginocchiandosi davanti a queste mattonelle delle memoria - ci confida l’autrice -. Mi auguro sia di stimolo per aguzzare la vista e individuarle, non solo a Venezia, ma ovunque: quando le trovo in altre città d’Europa sento di far parte di una stessa cultura. Sapere che le persone si fermano lì dove l’anima inciampa è di grande soddisfazione” conclude.

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