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DOSSIER NATALE: la luce splende nelle tenebre

Due termini si rincorrono nelle letture della Liturgia: luce e parola. Un Verbo che è luce, una parola che illumina, perché Dio stesso è Luce e “in Lui non vi sono tenebre” (1Gv 1,5). La luce non è più un elemento naturale, ma diventa immagine stessa di Dio che vuole raggiungerci, che dissipa le tenebre con lo sfolgorio della sua gloria.

23/12/2019

Le mille lucine natalizie che brillano un po’ ovunque rischiano di distrarci dalla vera Luce che dobbiamo contemplare nel mistero del Natale del Signore.

Due termini si rincorrono nelle letture della Liturgia: luce e parola. Un Verbo che è luce, una parola che illumina, perché Dio stesso è Luce e “in Lui non vi sono tenebre” (1Gv 1,5). La luce non è più un elemento naturale, ma diventa immagine stessa di Dio che vuole raggiungerci, che dissipa le tenebre con lo sfolgorio della sua gloria.

 

L’umanità era persa nel buio

Proviamo a immagine: vagare nelle tenebre vuol dire non sapere dove andare, rischiare di inciampare e cadere, essere preda dei terrori della notte. Così era l’umanità: persa nel buio del peccato, incapace di darsi una speranza, una via d’uscita. Priva di senso.

Poi ecco Isaia, vagheggiando la venuta del Messia, che canta: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9: 1.2). Questo testo apre la Veglia nella notte di Natale: Colui che viene a sgominare la notte del male, tocca le nostre tenebre ed esse svaniscono, è la seconda persona della Santissima Trinità.

Questa luce che rifulge «è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente» come dice il testo della Lettera agli Ebrei proposta per la Messa del giorno.

 

Una Parola che diventa vagito

Luce, fulgore, splendore, ma quello che si vede è solo un bambino. La Luce divina è talmente grande che abbaglia, acceca e sembra di non vederla nemmeno. La Parola eterna di Dio diventa vagito. Il segno che sarà dato ai pastori è un bambino posto in una mangiatoia: niente di altisonante. Solo la fede permette di lasciarsi illuminare da una luce che sembra invisibile; e nello stesso tempo soltanto chi conosce la propria notte sa distinguere i bagliori della Luce vera. Chi invece è illuminato da altre “luminarie” non sarà in grado di percepire questo dono.

Il prologo di Giovanni ci conduce nella contemplazione del mistero dell’Incarnazione, parla del Verbo di Dio nella sua “sovra-esistenza” e poi nella sua incarnazione. Lo definisce “Vita”: nel pensiero biblico solo Dio è il vivente in senso assoluto. Senza Dio non vi è che morte. Se si vuole vivere, bisogna essere uniti a Lui. Quindi la nostra vita sta nella nostra relazione con il Vivente. Il Verbo possiede questa vita: Gesù Cristo dirà di sé «Io sono la vita» (Gv 14,6). A contatto con l’uomo la vita diventa luce. Il Verbo è luce di Vita, un termine molto forte simbolicamente: ricordiamo la fotosintesi, che permette la vita della natura. Solo Lui quindi permette la vita in noi. La vita stessa di Dio si rende visibile per noi nel Figlio. E Lui è Luce: le tenebre “non l’hanno vinta”, non hanno potere su di Lui. Rifulge fin dall’inizio la vittoria: l’incarnazione che esprime lo “svuotamento” (kenosi) della seconda Persona della Santissima Trinità, avrà il suo compimento nella morte stessa di Colui che ha voluto nascere come uomo. Le icone bizantine raffigurano il neonato avvolto dalle bende e deposto dentro una piccola tomba: nella nascita è già prefigurato il Mistero pasquale di Cristo, morto e risorto.

 

Lo “sconfinamento” di Dio nella nostra carne

Il primo prefazio della Liturgia del Natale ci inonda di luce: «Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle cose invisibili». Si vede Gesù Cristo, si contempla Dio; si vede la luce, si scopre il fulgore divino. La luce stessa di Dio ci raggiunge in Gesù Cristo. È Lui che ci viene incontro nel Figlio, e questo ci dichiara che il nostro limite confina con Dio stesso: Egli è il confine sconfinato del nostro limite. Ma ancor di più, l’immagine del Figlio nella sua sconvolgente umanità, ci dichiara che Dio è talmente sconfinato da sconfinare nell’umano. Non si era mai sentito dire che un Dio entrava nella carne, ma questo è quello che dichiara Giovanni: «Il Verbo si fece carne...» (Gv 1:14). Questo significa che la vita di Dio spetta a questa carne. La nostra carne non solo eredita l’eternità ma, come diceva San Giustino, la Vita si prende per sua eredità ciò che è mortale. Non lasciamoci distrarre dalle lucine fatue e inabissiamoci nella Luce del mistero del Natale, che ci sussurra la promessa della vita eterna.

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