Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Cop 28: la Conferenza sul clima di Dubai nasce con forti contraddizioni
La 28ª sessione della Conferenza delle parti dell’Unfcc (Cop28) si riunirà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, per due settimane a partire dal 30 novembre. L’edizione precedente si era svolta a Sharm el-Sheik nel novembre 2022.
La Conferenza si svolge mentre è in corso il cruento conflitto arabo-israeliano. Fin prima del 7 ottobre, la presidenza emiratina aveva l’ambizione di riuscire a produrre dei successi diplomatici, facendo dei passi in avanti sul clima, accreditandosi così a livello internazionale per l’azione globale di trasformazione del clima. Per realizzare la sua ambiziosa agenda, la Cop28 si propone di caratterizzarsi per la sua inclusività, trasparenza, pragmatismo e orientamento ai risultati.
Abbiamo così cercato di capire quali sono le scelte fatte dal Paese arabo in termini ambientali, essendo il terzo produttore di petrolio e il settimo di gas naturale (compreso il gas naturale liquefatto - Gnl). In nome della trasparenza, che è tra gli obiettivi sbandierati della Conferenza, abbiamo notato che tra gli sponsor della Conferenza vi è la Blue Carbon fondo emiratino di investimento presieduto da un tale sceicco Al Maktoum, membro della famiglia regnante. Nulla di strano, se non che questa azienda ha fatto negli anni una serie di importanti investimenti nello sfruttamento delle risorse minerarie in Africa (dal Kenya all’Angola, dalla Repubblica democratica del Congo al Senegal), mentre negli ultimi mesi ha concluso una serie di accordi per acquistare quote di emissioni di anidride carbonica, da cedere prima di tutto ai suoi proprietari, prossimi ospiti della Cop28, e poi alle aziende e ai Paesi che inquinano di più, per compensare le loro emissioni e rispettare alcuni accordi internazionali o farsi attestare come aziende o Paesi green.
Nella homepage del suo sito si propone di adottare strategie climatiche che includano azioni tangibili e una collaborazione locale e internazionale, per transizioni più rapide a basse emissioni di carbonio.
Dopo Tanzania, Zambia e Liberia, la Blue Carbon ha firmato, il 29 settembre scorso, un memorandum d’intesa con lo Zimbabwe, che le concederà un quinto del suo territorio (7,5 milioni di ettari di foreste) per produrre carbon credit, in cambio di 1,5 miliardi di dollari.
Nelle settimane precedenti, racconta il sito di informazione Middle East Eye, l’azienda aveva concluso una serie di accordi simili in altri Paesi del continente. Tra questi c’è la Liberia, che vuole concedere all’azienda un’area pari al 10 per cento del suo territorio per trent’anni, anche se la decisione infrange le leggi locali che regolano la proprietà della terra. “La serie di contratti stipulata dalla Blue Carbon arriva poco prima della conferenza sul clima Cop28, prevista a Dubai a fine novembre, in cui i crediti di emissione saranno una questione di primaria importanza”, fa notare il giornale online.
Il mercato volontario dei crediti di emissione è un settore che, secondo alcune previsioni, crescerà enormemente nei prossimi anni. Nel 2021 il suo giro d’affari è stato di due miliardi di dollari e si stima che possa raggiungere i 10 miliardi di dollari entro il 2030. Intanto si sono levate voci critiche contro questo tipo di strumenti, come quella di Greenpeace, secondo la quale sono solo un mezzo “pulito” per permettere alle aziende di continuare a inquinare.
Il caso della Blue Carbon è la punta di un iceberg finanziario che gira attorno alle tematiche ambientali, visti gli stretti legami dello sceicco Al Maktoum con la famiglia reale di Dubai, che ha tratto la sua ricchezza dal gas e dal petrolio a scapito della tutela dei diritti umani e di una equa distribuzione sociale dei proventi dall’estrazione delle risorse del sottosuolo.