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Vita in famiglia: impariamo a parlare del positivo che c'è

Nell'intervista con lo psicologo Ezio Aceti viene affrontato il tema del sostegno ai genitori nell’educazione dei figli. Prima della ripresa a settembre, troviamo uno spazio per raccontarci le fatiche e le ferite vissute in questo anno e mezzo di emergenza sanitaria

Nei precedenti inserti abbiamo affrontato i primi due percorsi dell’iniziativa “Anno Famiglia Amoris Laetitia”, ovvero gli itinerari di formazione per i fidanzati e la pastorale dell’accompagnamento degli sposi. Come terzo percorso in questo inserto esploriamo il tema del sostegno ai genitori nell’educazione dei figli.
Abbiamo posto alcune domande su questo tema allo psicologo Ezio Aceti, che nella sua attività professionale si è sempre occupato di educazione e psicologia infantile e che da diversi anni si occupa di formazione per insegnanti, enti, associazioni e anche per la Cei.

Tra i vari percorsi da attivare con le famiglie per attuare Amoris Laetitia c'è il suggerimento di “organizzare appuntamenti per i genitori sull’educazione dei figli e sulle sfide più attuali (cfr AL 172 ss e 259 - 290)”. Cosa pensa che dovrebbero mettere in campo le comunità parrocchiali per raccogliere questa sfida?
Papa Francesco cita questa cosa nell’Amoris Laetitia perché ha capito che l’educazione deve comprendere l’amore verso l’Uomo. La vera crisi oggi è la crisi dell’Uomo e soprattutto dell’Uomo in crescita, del bambino, del ragazzo. Ecco che allora papa Francesco chiama tutta la Chiesa a preoccuparsi dell’Uomo, a preoccuparsi dell’Uomo in crescita. E preoccuparsi dell’Uomo vuol dire amarlo. E per amare qualcuno prima lo devo conoscere. Allora papa Francesco va dicendo a tutte le parrocchie di cominciare a conoscere l’Uomo e a farlo conoscere. Per cui sarebbe bello che in tutte le parrocchie d’Italia venissero organizzati ogni anno dei corsi di “alfabetizzazione genitoriale”, perché il grosso problema oggi è che non si conosce l’Uomo, non si conosce come funziona un bambino, come funziona un ragazzo. Allora per poterlo educare e amare, io lo devo conoscere. Allora ogni parrocchia dovrebbe organizzare dei corsi dove si parla di come cresce un bambino, di come cresce un ragazzo, quali sono le cose più importanti di cui tenere conto. Soprattutto va considerata la dimensione spirituale dentro il bambino, il ragazzo, perché lo Spirito è già dentro sin dalla nascita e se io so come funziona un bambino, posso aiutarlo ad avere un rapporto personale con Gesù. Questo è quello che secondo me intende Papa Francesco.

La parrocchia già adesso organizza delle riunioni per genitori della scuola materna, del catechismo, delle associazioni ecclesiali come Ac e scout e a volte organizza anche dei percorsi specifici a tema educativo. Alla luce di Amoris Laetitia come va ripensata la preparazione di queste proposte?
Innanzitutto queste proposte sono belle perché sono fatte dalla comunità cristiana. Le proposte della parrocchia devono essere esperienze di Comunità. Per farmi capire vi racconto un’esperienza che ho fatto a Firenze. Abbiamo preparato delle giornate di formazione per i genitori. Le ho chiamate “Sabati dell’educare” dove al mattino la gente veniva, c’era una persona esperta che parlava del bambino, c’era la preghiera, poi si pranzava insieme. Al pomeriggio le famiglie nei gruppi si comunicavano, dicevano quali erano le loro esperienze, preparavano le domande e poi, dopo la messa, si facevano le domande ancora all’esperto. Si faceva l’esperienza veramente dell’educare insieme.

Gli incontri dovrebbero essere fatti in questo modo, non solo avere qualcuno che ci dice cose importanti, ma anche masticare queste cose, vivere insieme, comunicare insieme. Il grosso problema della Chiesa è sempre stato questo, che abbiamo sempre avuto il prete che ci diceva delle cose e la gente che faceva fatica a dire quello che pensava perché così funzionava. Invece oggi siamo nell’epoca dove bisogna comunicare quello che si ha dentro, comunicarlo come un dono. In questo modo che cosa si fa? Si porta Gesù all’interno della Comunità perché Gesù viene se noi ci vogliamo bene. Volersi bene non è una cosa astratta. Volersi bene è dare il dono di quello che io ho dentro di me come dono all’altro. Questo è quello che dovrebbero possibilmente fare le parrocchie, favorire questo scambio di vita e di esperienze all’interno delle famiglie per quanto riguarda l’educazione. Un’esperienza di vita insieme.

In questo modo il nostro non sarà un incontro solo formativo o un incontro accademico dove arriva l’esperto che parla, ma il nostro incontro diventerà un’esperienza di vita, uno scambio, un momento di comunità. Mettere insieme le mamme e i papà al pomeriggio che si dicono quello che vivono, è aiutarli a vivere insieme la carità fra di loro. La carità non è solo dar da mangiare all’altro, la carità è anche dare quello che si è, la propria vita, le proprie miserie, le proprie fatiche. Questo è quello che fa il cristianesimo. Noi non siamo dei superman, noi siamo delle persone fragili che si comunicano le fragilità per volersi bene. Questa è la proposta, fare formazione e fare esperienza di comunità.

Come fanno una mamma e un papà a capire la situazione educativa di un figlio, di una figlia? Cosa devono guardare?
Ecco, questo spunto è molto bello. Sono due le cose che deve fare una mamma, un papà. La prima cosa è prepararsi, come abbiamo già detto. La seconda cosa è parlare delle cose positive, delle cose della Luce. Questa è una scelta di campo. Guardate che questo è importante, è una intuizione preziosa di papa Francesco. Provate a pensare se si accende la televisione, l’85% delle notizie sono negative, qualsiasi cosa è negativa. Se si va in giro, si sente la gente che non fa altro che lamentarsi. Si lamentano tutti di tutto. E’ come se fossimo in una giornata piena di nubi, siamo diventati esperti a parlare delle nuvole. Una donna ha le doglie del parto, siamo diventati esperti a parlare delle doglie.

Qual è il risultato? Che la depressione è la prima malattia d’Europa, che abbiamo la gente che è giù, che la gente è senza speranza, che è tutto negativo. Allora invece noi dobbiamo fare una cosa differente, quello che farebbe Gesù, quello che farebbe il più grande santo dell’educazione che era san Giovanni Bosco: dobbiamo incominciare a parlare della Luce, del positivo. Allora una mamma deve vedere nel figlio prima le cose belle che il figlio ha, il positivo, dobbiamo reimparare a vedere il positivo nelle parrocchie, il positivo fra di noi, il positivo nelle famiglie. E che cosa succede? Che a forza di parlare del positivo, impariamo a fare il positivo, impariamo a tirare su la gente. Perché il modo migliore per sconfiggere il male è parlare del bene. San Giovanni Bosco lo aveva capito questo, si ricorda? Andava a trovare i carcerati, lui li aveva lì in Valdocco i carcerati: si faceva dire da loro le cose belle che sapevano fare e quando uscivano gli faceva fare quelle robe belle lì. Questo è il segreto della Chiesa oggi. Reimparare a tirare fuori il positivo alla gente, che ci si tiri su.

Visione interessante. Invece di enfatizzare il negativo, evidenziare il positivo. 

Se io avessi 18 anni oggi, di fronte a questi grandi che mi presentano un mondo tutto così negativo, io non c’ho più voglia di andare avanti. E allora cosa faccio? Mi diverto! La speranza non c’è perché noi continuiamo a far vedere le cose che non vanno bene. Invece la speranza c’è perché noi vediamo all’interno di questo mondo tanta luce. Noi abbiamo smesso di dare la Luce, la Chiesa deve continuare a dare la Luce. Più tu dai Luce, più la gente ritrova la Luce dentro di sé. Questo è quello che io penso.

Avremo la ripresa a settembre delle attività ordinarie dopo questo tempo straordinario di pandemia. Ci sono delle attenzioni particolari da avere essendo questa una “sfida più attuale”?
Le rispondo più da psicologo credente: quando c’è stata una ferita, quando c’è stato qualcosa che non è andato bene, una caduta, e poi ci si riprende, ci sono due cose da fare: prima di tutto dobbiamo aiutare a elaborare questo tempo cattivo per cui, quando ci ritroveremo a settembre che riapriamo, dovremo dedicare un piccolo spazio dove la gente, i ragazzi, i figli, i grandi raccontino delle fatiche che ci sono state durante questo anno e mezzo. Uno spazio dove si possa dire di tutte le ferite e le fatiche che ci hanno colpito.

Questo spazio è importante. E poi dobbiamo trovare un altro spazio per trasformare queste fatiche in opportunità, in una possibilità di fare meglio. Papa Francesco dice: dobbiamo usare bene il tempo anche quando questo tempo è cattivo, e poi dobbiamo usarlo bene dopo, quanto il tempo cattivo è finito, come sta succedendo adesso. Andiamo a vedere di imparare da quello che è successo, questo è quello che dobbiamo fare. Perché un credente è una luce, dentro di sé. Per il credente non c’è il caso, ricordiamoci che per i cristiani non c’è il caso. Per il credente tutto quello che capita o è dono di Dio o è un male al quale possiamo dare un senso. Anche la pandemia, che Dio non ha voluto, perché Dio non vuole mai il male, noi abbiamo la possibilità di darle un senso.

Questo è il compito che noi abbiamo: dare un senso a questo male che c’è stato. Perché rimane male, ma noi lo rielaboriamo, Dio ci chiama a questo. Ci chiama a riempire d’amore anche il vuoto. Ecco, questo è quello che possiamo fare quando ci ritroviamo a settembre, non dire che abbiamo buttato via un anno e mezzo, no, ma chiederci in questo anno e mezzo in cui abbiamo sofferto, cosa abbiamo imparato? Cosa possiamo trasformare in positivo di questa esperienza negativa. Questo è il lavoro che dobbiamo fare noi. Noi cristiani non siamo mai dei fatalisti, noi invece siamo dei risorti, che toccano anche il male e lo fanno risorgere. Questo è il compito nostro.

Che cosa difficile! Ma forse anche no, perché una volta entrati nella logica della fede e seguendo proprio Gesù ci si può riuscire.
Certo! Perché la fede che cos’è? La fede non cambia la realtà, è una luce sulla realtà. Io le ho parlato da credente che non è che è fuori dalla realtà, ma che le dà una svolta. La realtà la facciamo esistere noi nella misura in cui riveliamo la Luce.

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