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Il Giro è di Carapaz, la prima volta di un ecuadoriano. E il suo parroco gli consiglia: "Resta umile"

“Tutta la gente di El Carmelo e la comunità di Playa Alta di benedice e ti ringrazia. Ti sei reso esempio silenzioso di chi riesce a raggiungere i suoi obiettivi. Sei l’esempio che nulla nella vita arriva gratis, che occorre sforzarsi tutti i giorni, fare sacrifici, non scoraggiarsi”. Parla padre Ali Denis Calderón Mojica, il parroco del paese natale che ieri ha suonato le campane della chiesa.

03/06/2019

Suonano a distesa le campane di El Carmelo, suonate dal parroco. E parte la festa di un intero Paese. Tutto l’Ecuador è impazzito di gioia ieri poco dopo le 10, quando in Italia erano le 17, nel momento in cui Richard Carapaz, la “locomotora del Carchi”, ha tagliato in maglia rosa il traguardo di Verona, diventando il primo ecuadoriano a vincere il Giro d’Italia e, più in generale, una grande corsa ciclistica. Molti sono scesi in strada a festeggiare. Il monumento al ciclista appena inaugurato nella capitale Quito è stato “agghindato” con la maglia rosa.

“Felicitazioni campione”, ha subito twittato il presidente della Repubblica Lenin Moreno.

Ma questa è, soprattutto, la festa del Carchi, provincia settentrionale al confine con la Colombia, una delle più povere del Paese, dichiarata “zona depressa” lo scorso anno e oggi particolarmente sotto pressione perché luogo di passaggio di migliaia di profughi venezuelani. In un piccolo paese del Carchi, El Carmelo appunto, nella località Playa Alta, a pochi passi dalla frontiera colombiana e non lontano dal capoluogo Tulcán, Richard Carapaz è nato 26 anni fa. In un altro villaggio andino, Julio Andrade, il ciclista risiede con la famiglia nei pochi periodi dell’anno che trascorre nel suo Paese.

L’emozione e la gioia del parroco

Il Sir ha parlato con alcune persone che conoscono il vincitore del Giro, descritto come una persona semplice, umile, legata alla propria terra, profondamente credente, che ha sempre ha avuto un sogno: quello di vincere, un giorno, il Giro d’Italia.

“Ricordati che ogni trionfo è per crescere in umiltà e semplicità e grazie per non dimenticare le tue radici e la tua gente”, dice rivolgendosi al ciclista attraverso il Sir padre Ali Denis Calderón Mojica, il parroco di El Carmelo, colui che ieri ha suonato le campane della sua chiesa: “Tutta la gente di El Carmelo e la comunità di Playa Alta di benedice e ti ringrazia. Ti sei reso esempio silenzioso di chi riesce a raggiungere i suoi obiettivi. Sei l’esempio che nulla nella vita arriva gratis, che occorre sforzarsi tutti i giorni, fare sacrifici, non scoraggiarsi”. El Carmelo sorge in una zona montagnosa, dove la gente vive in semplicità di agricoltura e allevamento. Qui, precisamente in località Playa Alta, vivono ancora i genitori di Richard Carapaz, che ieri erano a Verona dopo aver preso l’aereo per la prima volta. “Lui – prosegue padre Ali Denis – l’ho incontrato due volte, lo scorso anno è venuto alla festa patronale, gli ho donato un rosario. E’ una persona semplice e umile, ha partecipato alla messa, è una persona credente”.

Campione umile radicato nella sua gente e uomo di fede

La fede di Carapaz è nota anche a Julio Andrade, che si trova un po’ più a sud, a un’altitudine ancora maggiore, ottima per gli allenamenti. Qui, dove èparroco padre Darwin Romo, il ciclista ha aderito al movimento ecclesiale Juan XXIII, partecipando a dei ritiri spirituali, come documenta la foto che qui pubblichiamo.

Tra i più felici per la vittoria di Carapaz è Paulo Caicedo, colui che l’ha allenato nella squadra ciclistica Coraje Carchense, prima che spiccasse il volo prima per la Colombia e poi verso l’Europa: “Un grande talento e una bella persona – ci dice -. Ha coronato il suo sogno, quello di vincere il Giro d’Italia. Ricordo che nel 2013 ha avuto un grande infortunio, era disperato, ma poi è riuscito a riprendersi. Per affermarsi ha dovuto lasciare il Paese e andare in Colombia, dove si trovano gli unici team professionistici dell’America Latina. Da lì, poi, c’è stato il salto verso l’Europa. Ora il mio auguro è di restare umile nel cuore”.

Caicedo spera che la vittoria di Carapaz favorisca ulteriormente il movimento ciclistico nel suo Paese, che già sta crescendo molto: al Giro quest’anno erano presenti altri due ecuadoriani: Jonathan Caicedo, anch’egli del Carchi, e Jonathan Narváez. “E ci sono altri ragazzi promettenti”, conclude l’allenatore.

Il Carchi, regione che vive crisi economica e il passaggio dei venezuelani. Tutti, ora attendono il suo ritorno nel Paese, ma la festa è già cominciata, come conferma al Sir padre Aníbal Díaz Solano, sacerdote e giornalista, direttore del giornale e sito internet “Carchi al Día”: “In questi giorni il Paese si è fermato e ancora di più la regione del Carchi. A Tulcán e in altri centri della provincia sono stati allestiti degli schermi giganti, ora gli sarà preparata una degna accoglienza”.

Con Diaz Solano parliamo anche della situazione sociale ed economica in questo lembo di Ecuador. “Il Carchi ha 170mila abitanti, è in prevalenza montagnoso, di parte dai mille metri e si arriva a un picco di 4mila. Carapaz vive a quasi 3mila metri di altitudine. Il clima è caldo secco, la principale attività economica ruota attorno all’allevamento di bovini e al settore del latte.

Attualmente si vivono molte difficoltà economiche, come nel resto del Paese e anche di più.

In Ecuador la moneta corrente è il dollaro, ma per la gente risulta molto più economico fare la spesa con i pesos in Colombia, soprattutto nella città di Ipiales. Così, qui molte attività commerciali sono costrette a chiudere”.

A Questo si aggiunge il continuo arrivo di profughi venezuelani che entrano in Ecuador dopo aver attraversato la Colombia: “Si può arrivare anche a 3mila ingressi in un giorno. Quelli che restano qui si accontentano di stipendi più bassi rispetto agli ecuadoriani, ma così si scatena una guerra tra poveri”.

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