Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Affratellati dallo sport
“Mi meraviglia che nel 2024 si stia ancora parlando di integrazione. Ma purtroppo rimane un argomento di grandissima attualità”. Lo dice dall’alto della sua esperienza Silvia Giovanardi, responsabile del settore giovanile di Imoco Volley. Il club gialloblù di Conegliano, che da sei anni è campione d’Italia con la prima squadra e ha fatto incetta di titoli anche con le formazioni “under”, che hanno base a San Donà di Piave. “L’integrazione delle ragazze che hanno provenienza, cultura, religione diversa è un argomento che ci tocca tantissimo, ma ci tocca in maniera estremamente naturale. Ormai da anni giocano con noi ragazze che spesso consideriamo straniere, e magari lo sono dal punto di vista della cittadinanza, ma che sono nate qui, parlano italiano e dialetto. Parlare di integrazione per loro è fuori luogo, mentre il concetto può valere per chi arriva già cresciuto. In ogni caso, trovo che lo sport sia un mondo favoloso da questo punto di vista. Giocare è un modo di esprimersi senza nessun tipo di barriera, cosa che nel lavoro, nella scuola, in altre situazioni, specie in Italia, succede più raramente”. Secondo Giovanardi l’arrivo di tante atlete e atleti da nazioni diverse sta facendo crescere il livello tecnico e agonistico. “Lo si è visto con gli Europei di atletica, ma vale anche in altre discipline individuali e di squadra. Questi ragazzi hanno delle capacità spesso superiori, che l’attività sportiva fa emergere e riesce a valorizzare. Faccio l’esempio del pallavolista Earvin Ngapeth. Nessuno si pone il problema che lui non sia francese, al di là delle sue chiare origini africane. E lo stesso vale, per la mia esperienza, per le ragazze che noi consideriamo “italiane doc”. Loro per prime non fanno differenze di colore, di pelle, di storia. Certe barriere mentali non esistono: sono pensieri figli di una mentalità ristretta. Il mondo sta andando da un’altra parte”.
Di giovani ne ha visti crescere tanti anche il noalese Giuseppe Mattiello, che da una vita è sulle piste di atletica. Uno degli ultimi, anche se indirettamente, è Catalin Tecuceanu, mezzofondista nato in Romania, bronzo a Roma sugli 800 metri. “E’ allenato da un mio allievo ed è diventato italiano da maggiorenne, ha dovuto faticare per ottenere la cittadinanza. Questo gli ha permesso di entrare nel gruppo sportivo delle Fiamme Oro e avere anche un minimo di stabilità economica per poter continuare l’attività. Anche per il nostro settore, il tema dell'integrazione ormai è un fatto normale. Era accaduto prima in altre discipline e l’Italia sta venendo dopo gli altri Paesi europei come Inghilterra e Francia, che hanno anche una storia politica e geografica diversa dalla nostra”. Mattiello, in molti decenni di attività, ha visto cambiare la società e anche il profilo fisico degli atleti. “Fare sport azzera le differenze, affratella un po' tutti, specialmente perché i giovani sono molto migliori di noi, non avendo i nostri retaggi culturali, che spesso sono negativi”.
Anche per Alberto Matassini, che guida la formazione di Treviso di basket femminile in serie A2, l’integrazione è ormai da tempo nei fatti e nella realtà. “Sono più di dieci anni che faccio questa attività e ogni anno incontro atlete italiane con cognomi stranieri. A livello sociale ci si sta ancora lavorando, però nel nostro ambito ormai è una cosa più che normale. Lo sport è specchio della società e la società entra in palestra. La palla mette d'accordo tutti”. Proprio il basket, a cominciare dall’esempio americano, è forse più avanti da questo punto di vista. “Chi ha fatto esperienze nei college e poi torna in Europa acquisisce una mentalità più aperta. La diversità fisica non è considerata negativamente, anzi è una qualità su cui investire energie e fiducia. Guardare solo le differenze non aiuta”. L’esperienza passa però da situazioni molto concrete. “In passato ho dovuto affrontare in squadra la questione della sudorazione, che ha sentori differenti tra chi ha la pelle chiara e quella scura. Così come aveva suscitato un certo scalpore affrontare una ragazza che giocava portando il velo in testa. All’inizio si era creata una certa distanza, ma poi sono piccoli ostacoli che si sono superati”.
Oltre all’integrazione culturale, ce n’è un’altra di tipo economico. E’ quello che sottolinea Mario Sanson, delegato provinciale Coni Treviso. “Certe discipline sono costose. E’ una barriera che si sta facendo sempre più evidente e che andrebbe superata. Chi ha meno possibilità tende a prediligere discipline all’aperto o dove le spese sono ridotte”. In Veneto lo sport è una realtà capillare: sono rappresentate tutte le specialità, con 48 federazioni, 15 discipline associate e 14 enti di promozione sportiva. Sono 13.500 le associazioni, 650 mila i tesserati e 160 mila i dirigenti, allenatori e arbitri. E più di metà degli abitanti svolgono attività sportiva. “Lo sport è un veicolo di integrazione molto forte, la più potente rete sociale presente in Italia, in cui non ci sono distinzioni. Rimane la variabile della cittadinanza, che solo in certi casi può essere concessa per motivi sportivi”. Dallo scorso settembre lo sport è entrato in Costituzione, con l’ultimo comma dell’articolo 33: “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”. “Non è ancora un diritto – aggiunge Sanson -, ma ci dobbiamo arrivare portando lo sport a scuola, perché dopo il Covid l’attività sportiva è diventata un’esigenza sempre più sentita”.