Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Un Salvini è per sempre

Era il dicembre del 2013, quando Matteo Salvini prendeva in mano la Lega (a quel tempo Lega Nord), mestamente traghettata per circa un anno da Roberto Maroni, in seguito all’implosione, avvenuta un anno prima, del lungo impero del fondatore Umberto Bossi. Sono, dunque, passati 12 anni da quando Salvini ha preso il potere, e ne trascorreranno altri quattro, il tempo dell’ulteriore mandato che il congresso federale di Firenze ha concesso, con un vero e proprio plebiscito al segretario. Insomma, un’eternità, soprattutto per le abitudini della politica italiana.
Cosa sarà la Lega alla fine del “sedicennio salviniano”, nel 2029? Si risolleverà dall’8 per cento in cui è piombata sotto la guida del “Capitano”? Continuerà a essere, in Veneto, il partito di riferimento, o proseguirà l’emorragia di voti, e di quadri di partito, verso Fratelli d’Italia? Nessuno lo sa. Di certo, si sa che il congresso di Firenze, al termine del quale il generale ultraconservatore Roberto Vannacci ha preso la tessera del partito, “prenotandosi” per un posto da vicesegretario, ha definitivamente sancito la “mutazione genetica” di una forza politica che, da autonomista e federale, si è definitivamente trasformata in nazionale, anzi nazionalista e di estrema destra, che ha come nemico dichiarato l’Unione europea. Non a caso, a Firenze sono intervenuti, in video-collegamento, il magnate statunitense Elon Musk e la francese Marine Le Pen, rispettivamente “nuova” e “vecchia” icona dell’ultradestra.
Salvini ha citato un altro “mito emergente”, l’argentino Javier Milei come esempio di chi usa la “motosega” per “sfoltire” le burocrazie europee che “pagano i contadini per non fare i contadini e i pescatori per non fare i pescatori”.
La trasformazione del partito, come è noto, non è piaciuta a molti dirigenti e amministratori del Veneto, più moderati ed europeisti, vicini al “sentire” dei ceti produttivi del Nordest. In questi anni, c’è chi ha assistito, quasi in silenzio, alla svolta sovranista, pur facendo capire di non condividerla, a partire dal presidente della Regione, Luca Zaia. Quest’ultimo, impegnato nella battaglia per un ulteriore mandato alla guida del Veneto, ha, probabilmente, perso l’ultima occasione per contrapporsi a Salvini come leader nazionale. Al congresso di Firenze ha avuto un ruolo marginale, e il suo “altolà” a Roberto Vannacci non ha sortito effetti.
Sempre in questi anni, in Veneto, c’è, invece, chi ha fatto fuoco e fiamme, per superare la stagione salviniana e il verticale crollo di consensi. Voci, più o meno dissenzienti, che sono state zitte (o sono state zittite) durante il cammino congressuale. D’ora in poi, avranno due alternative: o adeguarsi, o andarsene.