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Emigrati all’estero: stop alla cittadinanza “facile”

Negli ultimi anni il forte aumento di richieste dal Sudamerica ha messo sotto pressione i Comuni. Il recente decreto del Governo restringe il principio dello “iure sanguinis”. D’ora in poi sarà più difficile, per i discendenti dei nostri emigranti, ottenere il passaporto italiano

La cittadinanza italiana basata sul principio dello “iure sanguinis” consente ai discendenti di cittadini italiani emigrati all’estero di ottenere il riconoscimento della cittadinanza, a condizione di dimostrare la propria linea di discendenza. Questo diritto ha radici profonde nella storia migratoria italiana, con numerosi emigranti che, tra il XIX e il XX secolo, si sono stabiliti in Paesi come Brasile e Argentina.

Negli ultimi anni, si è registrato un aumento significativo delle domande di cittadinanza da parte di oriundi italiani, in particolare provenienti dal Sudamerica. Secondo dati del Tribunale di Venezia, al 30 agosto 2024, sono state presentate oltre 23.000 richieste di riconoscimento della cittadinanza per discendenza, con circa 18.000 pratiche ancora in attesa di esame. Questo fenomeno ha posto sotto pressione gli uffici anagrafici di molti Comuni veneti, che si trovano a gestire un volume di richieste superiore alle loro capacità operative.

Un esempio emblematico si è verificato nel Comune di Crocetta del Montello, in provincia di Treviso.

160 pratiche sotto indagine

Tra il 2018 e il 2022, circa 160 cittadini brasiliani hanno ottenuto la cittadinanza italiana attraverso procedure che, secondo indagini della Guardia di Finanza, coinvolgevano dichiarazioni false e attestazioni di residenza non veritiere. L’inchiesta ha portato alla notifica di dieci avvisi di garanzia per reati quali falso ideologico e falso materiale, coinvolgendo sia cittadini brasiliani sia funzionari locali.

Per far fronte all’onere amministrativo derivante dall’elevato numero di richieste, diversi Comuni veneti hanno introdotto un contributo fino a 600 euro per la gestione delle pratiche di cittadinanza. Questa misura, resa possibile dalla legge di Bilancio del governo Meloni, mira a compensare i costi sostenuti dalle Amministrazioni locali e a disincentivare eventuali abusi del sistema.

Il decreto del Governo

Il governo italiano, con Decreto-Legge 28 marzo 2025, n. 36, ha introdotto una stretta significativa sul riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza. Rispetto al passato, quando non era previsto alcun limite generazionale e bastava dimostrare la discendenza da un cittadino italiano emigrato, anche attraverso linee genealogiche molto remote, il nuovo provvedimento stabilisce un tetto massimo di due generazioni: la cittadinanza può essere richiesta solo da chi dimostra una parentela diretta fino ai nonni nati in Italia.

Inoltre, è ora richiesta la residenza effettiva in Italia per almeno dodici mesi continuativi prima della presentazione della domanda, elemento introdotto per contrastare il cosiddetto “turismo della cittadinanza”, ovvero l’arrivo temporaneo nel Paese con il solo scopo di completare l’iter burocratico.

I documenti da presentare

Altra novità è l’obbligo di presentare documenti genealogici tradotti e legalizzati non solo secondo la normativa del Paese d’origine, ma anche conformi agli standard previsti dagli archivi italiani. Il decreto prevede anche sanzioni più severe in caso di dichiarazioni mendaci o uso di atti falsi, con controlli incrociati affidati sia alle prefetture sia agli uffici anagrafici locali.

L’obiettivo, dichiarato dal legislatore, è quello di preservare il diritto alla cittadinanza per chi ha un effettivo legame familiare e culturale con l’Italia, evitando al contempo distorsioni e abusi ormai diffusi in alcune aree del Paese.

Distorsioni e interrogativi

Il fenomeno delle richieste di cittadinanza italiana per discendenza ha sollevato, negli ultimi anni, interrogativi sulla tenuta del sistema amministrativo e sull’effettiva integrazione di chi ottiene il passaporto italiano. In passato, anche la Regione Veneto aveva sostenuto l’arrivo di oriundi italiani, in particolare dal Sudamerica, nella speranza che potessero rappresentare una risorsa per il mercato del lavoro locale, in risposta al calo demografico e alla carenza di manodopera in alcuni settori produttivi.

Tuttavia, i numeri si sono rivelati modesti e, in molti casi, i nuovi cittadini non si sono stabiliti nel territorio, scegliendo, piuttosto, di trasferirsi in altri Paesi europei, o fare ritorno nel proprio Paese d’origine, una volta ottenuti i documenti. Le recenti modifiche normative, dunque, riflettono la necessità di correggere un meccanismo che, pur nato con intenti inclusivi e di riconoscimento storico, ha finito per generare distorsioni difficili da gestire a livello locale.

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