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I pensionati temono i nuovi arrivi di persone straniere

Uno studio di Valerio Dotti, economista di Ca’ Foscari, mostra come le scelte di voto degli anziani tendono a favorire politiche restrittive in tema di immigrazione e spesa pubblica che penalizzano il Paese. Eppure sono proprio loro i primi beneficiati dalla presenza di nuova forza lavoro

Nelle società che invecchiano, le scelte di voto della popolazione anziana tendono a favorire politiche restrittive sull’immigrazione.

Ce lo dice uno studio di Valerio Dotti, ricercatore in Politica economica all’Università Ca’ Foscari di Venezia, pubblicato dal prestigioso “Journal of Public Economics”, che ha analizzato questo fenomeno per certi versi paradossale. Per logica, infatti, l’elettore che gode di pensione e servizi sostenuti dalle entrate fiscali, dovrebbe considerare positivamente l’ingresso nel Paese di lavoratori giovani che contribuiscono alla finanza pubblica. Nella realtà, così non è.

“Per arrivare a queste evidenze – spiega il ricercatore - ho elaborato un modello di voto in cui i cittadini, tramite i candidati che eleggono, scelgono sia la politica migratoria (quanti migranti far entrare) che quella fiscale (tasse e spesa pubblica), per tentare di spiegare due incongruenze che emergono negli studi che si occupano di migrazioni. Secondo i sondaggi, infatti, in diversi Paesi come Regno Unito e Italia, i cittadini esprimono forte preoccupazione per gli effetti fiscali dell'immigrazione, nonostante vi sia ampia evidenza che tali effetti, mediamente, sono positivi. In sostanza, le persone più anziane percepiscono l’ingresso di stranieri come un peso, quando in realtà questo flusso porta benefici alle casse pubbliche. In secondo luogo, gli anziani e i cittadini a basso reddito, le categorie più favorite dal surplus fiscale generato dall'immigrazione, sono, per paradoss,o le categorie socio-economiche che mostrano maggiore avversione nei confronti dell'immigrazione”.

“La spiegazione di questi paradossi - afferma l’economista - sembra risiedere nel fatto che i benefici fiscali portati dall’immigrazione tendono a essere goduti principalmente dalle classi agiate, penalizzando invece i votanti «nativi» anziani o a basso reddito”.

Nel momento in cui in un Paese aumenta l’aspettativa di vita o cala la natalità, come succede in Italia, aumenta la percentuale di votanti con preferenze avverse all’immigrazione, fattore che a sua volta premia chi propone politiche restrittive. A loro volta, queste politiche favoriscono l’invecchiamento della popolazione e la situazione fiscale del Paese peggiora ulteriormente: in questo modo, si perde parte del surplus fiscale dovuto all'immigrazione. E’ un circolo vizioso, difficile da spezzare.

“Nel dibattito pubblico, favorire l’immigrazione oppure la natalità - continua Dotti -, sono percepite come politiche alternative, mentre sono complementari e andrebbero implementate entrambe per garantire al sistema la sostenibilità nel lungo periodo, in primis proprio a vantaggio dei pensionati e delle persone a basso reddito”.

Come risolvere, almeno in parte la questione? “Nei Paesi che stanno invecchiando, come il nostro, servirebbero maggiori meccanismi di aggiustamento automatico della spesa pubblica (ad esempio, modulando le pensioni anche in base alla percentuale di pensionati rispetto alla popolazione attiva), più consapevolezza sul valore dell’immigrazione per i conti pubblici, più politiche di lungo respiro che non guardino esclusivamente al breve periodo”, conclude il ricercatore.

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