Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Donare un senso nuovo al proprio progetto di vita
“Nella vita ci sono momenti in cui si vince e altri in cui si può perdere tutto, non possiamo scegliere. Quello che possiamo scegliere, è se mandare all’aria tutto o capovolgere il proprio destino e far nascere qualcosa di buono da ciò che è successo”.
Esordisce così Luigi Colusso, medico, psicoterapeuta, formatore, fondatore dei gruppi di aiuto per l’elaborazione del lutto di Advar.
Lui stesso, molti anni fa, ha attraversato questo percorso, trasformando il dolore per la morte della figlia in qualcosa di generativo, in qualcosa di utile all’intera collettività.
La perdita di una persona cara è sempre dolorosa, ancora di più quando è inattesa, e “innaturale”, come la morte di un figlio, che sia per malattia, per incidente, o avvenuta in modo violento, per mano di qualcun altro. Non tutti reagiscono al dolore allo stesso modo, c’è chi preferisce chiudersi in se stesso, chi invece ha bisogno di fare subito qualcosa, gli uomini, solitamente, ci spiega il professor Colusso, “sono più impulsivi nel loro bisogno di fare, hanno la necessità di fare subito qualcosa di concreto, alcuni si fermano dopo l’organizzazione di un singolo evento in ricordo; diverso è quando l’impulso porta a dire «Non voglio che succeda ancora quello che è successo a un mio caro», in quel caso può nascere un progetto di più ampio respiro”.
In questi giorni, è sotto gli occhi di tutti, il dolore di un altro padre, Gino Cecchettin, che dopo il femminicidio della figlia Giulia, ha reagito con una presenza mediatica forte, e condividendo un forte impulso a trasformare il proprio dolore. Lo ha detto lui stesso in una lettera pubblicata su Linkedin: “Permettetemi di testimoniare l’importanza di prenderci una pausa quando la vita ci mette alla prova in modi inimmaginabili. Sto anche riflettendo su un nuovo impegno civico che accompagnerà i miei viaggi. Desidero incanalare il dolore in azioni positive, che possano aiutare chi si trova nelle stesse situazioni di Giulia”.
Il comportamento del padre di Giulia, ha spiegato Colusso, è assolutamente normale. “Se ne parla perché è stata una morte che ha fatto molto clamore, quando è morta mia figlia ho aspettato due anni per creare i gruppi di elaborazione del lutto, a quel punto non avevo più alcuna esposizione mediatica e ho dovuto cercare io i giornalisti, per raccontare il mio progetto. Cecchettin non ha fatto nulla di diverso da tanti altri, ma si è trovato sovraesposto, al di là della sua volontà. In ogni caso, quello che sta facendo potrà servire a mantenere alta l’attenzione sul fenomeno della violenza di genere. E’ un gesto che può diventare ricchezza e che va rispettato, perché nasce da un dolore autentico e risponde, inoltre, anche a una condizione specifica di tempesta emotiva”.
“Esporre il proprio dolore non è divertente, ma lo scopo è quello di riuscire a dare un senso e offrirlo anche agli altri. Sento tutta la vicinanza per lui - prosegue Colusso - e il rispetto per le sue scelte. Scelte coraggiose, più che fuggire e chiudersi nel riserbo, cosa che gli avrebbe fatto perdere l’occasione”.
“La reazione dipende anche dallo stimolo che hai, io ho visto che c’erano tante altre persone che soffrivano come me, che erano in difficoltà dopo un lutto, e non c’era nessun servizio per aiutarli. Ho avuto più tempo, ma la mia professione mi ha consentito di pensare un progetto, lavorarci e realizzarlo”.
Uomini e donne reagiscono in maniera diversa al lutto e alla perdita, spesso le donne sono più riflessive, ma molte di loro hanno trasformato il dolore in qualcosa di grande, come, ad esempio, Anna Mancini, la fondatrice di Advar. Altre persone si impegnano aderendo a proposte che ci sono già, in ogni caso, chiarisce Colusso, “uomini e donne arrivano allo stesso risultato, ognuno con il suo metodo. Anche se le strategie possono essere diverse, se l’obiettivo è preso su serio, ognuno con le proprie risorse ci può lavorare, per ritrovare un contatto con la propria spiritualità”.
“Sia io che Cecchettin - la conclusione - abbiamo scelto di trasformare una cosa brutta in un dono per gli altri. Il dolore e le difficoltà permangono, ma far nascere un dono da cose orribili diviene motivo per vivere e non sopravvivere. Per me, come credente, è molto importante, ed è importante che passi il messaggio di una parità di valore fra uomo e donna, pur nella diversità, che diventa un plus e possibilità di appoggio reciproco”.