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Israa: “Sulle rette non siamo noi a decidere”

Il direttore Giorgio Pavan fa il punto sulla situazione nei centri servizi per anziani, dopo le accuse di Fuori dal coro

Ha sollevato un gran polverone la puntata della trasmissione Mediaset “Fuori dal coro” dello scorso 12 giugno, che attaccava l’Israa (Istituti per i servizi di ricovero e assistenza anziani) di Treviso per la questione delle rette nelle strutture residenziali per anziani.

Il caso, nato dalla segnalazione di un familiare di un’ospite delle residenze Israa, fa riferimento alla quota di retta che per legge viene sostenuta dal Sistema sanitario nazionale e la quota che, invece, è a carico delle famiglie.

Per fare chiarezza sulla questione abbiamo chiesto spiegazioni al direttore di Israa, Giorgio Pavan, che, prima di iniziare l’intervista, ci confida amareggiato: “Di un’ora di intervista in cui spiegavo come funzionano le cose, hanno mandato in onda pochi secondi, senza diritto di replica perché registrati, che gettano discredito sull’Ente e sulla mia persona, per cui sto pensando a come intervenire”.

La trasmissione, ha spiegato Pavan, fa riferimento a un dpcm (decreto della presidenza del consiglio dei ministri) del 2001, secondo il quali le prestazioni sociali con rilevanza sanitaria dovrebbero essere a carico del Sistema sanitario nazionale. “Non è così - ha chiarito il direttore -. Infatti, il modello dell’assistenza degli anziani non autosufficienti si sviluppa a partire dall’articolo 30 del dpcm del 12 gennaio 2017, che, in quanto più recente, sovrascrive il precedente, e da ben due sentenze del Consiglio di Stato, una del 2015 e una del 2020. In questo frangente si è distinto fra la prestazione sanitaria, come può essere un ricovero in ospedale, a carico per il 100 % del Sistema sanitario nazionale, e la prestazione socio sanitaria, in cui sono ricompresi anche i servizi alle persone affette da demenza. L’intervento sanitario viene differenziato da quello di assistenza, come quelli forniti dai centri servizi agli anziani non autosufficienti. Per queste ultime la retta è divisa a metà tra utente o familiari da un lato e Stato dall’altro. Lo Stato, in sostanza, interviene sulla parte sanitaria della cura della persona, lasciando alla famiglia la questione assistenziale”.

Quindi, per la residenzialità extraospedaliera, le impegnative sono gestite dalla locale azienda sanitaria, in questo caso l’Ulss 2, che fa le valutazioni sanitarie e compila le graduatorie. Se riconosce le necessità sanitarie, eroga 52 euro al giorno, più altri dieci euro, circa, per servizi medico-sanitari. La parte restante è a carico della famiglia, per arrivare a una spesa che è di circa 120 euro al giorno. Ci sono, inoltre, 5-6 mila posti letto “privati”, a cui si fa ricorso per soddisfare le esigenze della popolazione, e che, tuttavia, devono essere pagati per intero dal cittadino.

“Se tutto questo caos servirà a fare un po’ di chiarezza, ben venga. Lo scopo di Israa non è fare profitto, ma pareggiare i conti - prosegue Pavan -. Lo Stato o la Regione decidono chi paga, ma noi senza soldi non paghiamo bollette e dipendenti. Se c’è confusione fra diverse sentenze, sarà chi può legiferare in materia, che sia lo Stato o la Regione, a determinare chi paga, noi non abbiamo potere su questo. Posso anche pensare che certi servizi non dovrebbero essere a carico delle famiglie, ma non sono io a poterlo decidere. Senza contare che, se il servizio fosse al 100 per cento a carico del Sistema sanitario nazionale, bisognerebbe trovare i soldi a copertura della spesa, parliamo di 6-7 miliardi di euro all’anno”.

Un danno di immagine, per l’Israa, che arriva dopo allo tzunam i del Covid, che ha colpito duramente le Rsa. “Non troviamo personale, né infermieri né operatori socio sanitari, negli ultimi 5 mesi sono andati via 30 oss, che hanno fatto il concorso per entrare in Ulss. Lo Stato deve investire nel lavoro di cura, proponendo contratti più dignitosi. L’80% degli infermieri nelle nostre strutture, oggi, viene da Paesi extra Ue, mentre un quarto degli oss vengono dall’estero. Sono persone che si prendono cura con amore dei nostri anziani, hanno seguito corsi di alfabetizzazione, ma ancora faticano con il dialetto, questo inficia un po’ sulla relazione”.

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