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Una giustizia che cura





In un mondo in cui siamo abituati a rispondere alle azioni degli altri in maniera retributiva (se non ti comporti bene sarai punito), impariamo a mettere le cose a posto in maniera diversa, mettendo al centro la relazione e i sentimenti soggettivi delle persone, la comunità. Impariamo ad affrontare controversie e conflitti attraverso un nuovo concetto di giustizia, quello della giustizia riparativa.
E’ da qui che muove l’intervento della professoressa Patrizia Patrizi, psicologa, psicoterapeuta, ordinaria di Psicologia giuridica e pratiche di giustizia riparativa al Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali dell’Università di Sassari, che nelle settimane scorse è intervenuta a Trevignano a un evento organizzato dalla cooperativa Kirikù e dal Tavolo provinciale per la giustizia riparativa.
In primo luogo, tuttavia, Patrizi ha voluto affrontare alcuni pregiudizi che aleggiano sul modello riparativo.
“La giustizia riparativa non corrisponde al perdono - ha sottolineato con forza -, come non è riconciliazione. Può avvenire che all’esito di un processo riparativo chi ha dentro di sé il senso del perdono e vuole perdonare per stare meglio possa farlo effettivamente, ma non è lo scopo del processo, né è obiettivo riconciliarsi. In alcuni casi sarebbe addirittura pericoloso, pensiamo alle donne vittime di abusi. L’obiettivo è dare voce ai protagonisti, comprendere quali sono i loro bisogni. Dobbiamo superare molte idee pregiudiziali rispetto alle quali la giustizia riparativa viene attaccata. Far conoscere a più persone possibili il senso reale di questa proposta”.
Diffondere la cultura della giustizia riparativa significa, infatti, che, chi ha subito un danno, come chi lo ha inflitto, possa richiedere spontaneamente l’attivazione di questo tipo di processo, per guarire le proprie ferite.
“La normativa pone qualche sfida - ha proseguito Patrizi -, perché poi, un altro pregiudizio è che il processo riparativo sia usato strumentalmente da un condannato o da una persona sotto processo per ottenere uno sconto di pena o una sentenza più favorevole, senza che ci sia una reale predisposizione, in quel momento, ad ascoltare, a comprendere, ad assumersi le proprie responsabilità e a impegnarsi nell’obbligo di mettere le cose a posto, non, ovviamente facendo tornare tutto come prima, ma, rispondendo a dei bisogni che possono portare serenità per il futuro. Il focus sono i bisogni di chi ha subito un danno e le responsabilità dell’autore per ripararlo. La giustizia riparativa guarda al futuro, a quello che possiamo fare da questo momento in poi. E’ un paradigma. E’ un modo di vedere le cose che non è specifico del penale. E’ un modo per ricucire le ferite, non per riconciliare le persone. Quando avviene un danno, anche nelle scuole e in altro contesto, abbiamo bisogno di ricucirci, di ricucire il tessuto della collettività allarmata, impaurita”.
Al centro del processo riparativo c’è il danno, che non è il reato o il comportamento, ma le sue conseguenze soggettive sull’individuo, che possono rimanere dentro a lungo. Del danno si può parlare coinvolgendo le persone interessate, per circoscriverlo a quell’episodio e dotare di meno potere nei nostri confronti l’autore di tale danno.
L’applicazione di questo modello, può creare comunità nuove. “Sono pratiche da usare su piccola scala, famiglie, classi, cooperative. Serve la partecipazione attiva degli interessati, la cui adesione deve essere libera e volontaria e i colloqui confidenziali. In questo modo può avvenire il processo riparativo, grazie all’attenzione ai bisogni e agli interessi delle persone coinvolte e ad accordi per la ricucitura del danno che vanno onorati, altrimenti subentra la delusione e la frustrazione”.
In quest’ottica, la giustizia penale o amministrativa e quella riparativa sono complementari, in quanto una determina una pena o una sanzione, mentre l’altra si concentra sulle persone coinvolte, aiutandole a superare il danno e a far nascere una comunità migliore.
Durante la serata, sono intervenute alcune realtà del territorio, che applicano il paradigma della giustizia riparativa in diversi contesti sociali, come ad esempio nelle scuole, dove aiuta a superare litigi, conflitti e a imparare il rispetto dell’altro.
Qui sotto due esempi di come il modello sia applicato in un progetto dedicato alle vittime di reato e ai ragazzi adolescenti.