mercoledì, 20 novembre 2024
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Sovraffollamento, violenze suicidi: cosa sta succedendo nelle carceri italiane?

Ne parliamo con don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane, che è venuto in visita a Treviso nelle scorse settimane

Sovraffollamento, violenze, suicidi. Le carceri italiane rimangono sotto i riflettori della cronaca, mentre i problemi crescono e le soluzioni appaiono sempre più lontane. Abbiamo provato a comprendere qualcosa in più sulla situazione con l’ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane, don Raffaele Grimaldi, che nelle scorse settimane è venuto in visita alla casa circondariale e all’istituto penale per minorenni di Treviso.

Don Raffaele, cosa sta succedendo nelle carceri italiane?

Ci troviamo di fronte a una situazione di sovraffollamento che tocca praticamente tutte le carceri. Ed è proprio il problema degli spazi ad alimentare disagio e violenze. Infatti, nei luoghi in cui gli spazi ci sono, le situazioni sono più tranquille. Quando la popolazione detenuta è in sovrannumero, il personale non basta più per offrire delle attività, le richieste sono più difficili da soddisfare, aumentano le tensioni, che possono sfociare in proteste violente. Senza contare che, con la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, le carceri italiane si sono riempite anche di persone con problematiche di salute mentale, che gli agenti di polizia penitenziaria non sono preparati ad affrontare. Anche loro sono sempre in tensione, sono pochi, stanno comunque in prigione, come le persone detenute, affrontano quotidianamente situazioni di emergenza.

Una polveriera pronta a esplodere...

Certo, una persona con disagio psichico può avere reazioni violente anche di fronte a piccole cose che non vanno. L’aggressività allora diventa il pane quotidiano, perché le persone non vivono bene. Ed è sotto questa lente che dobbiamo leggere l’enorme numero di suicidi e di tentati suicidi in carcere.

A metà settembre, le persone che si erano tolte la vita in carcere erano 72, ma il tragico bilancio è in continuo aggiornamento. Se, in totale, quelli accertati per il 2023 erano stati 70, ora si rischia di superare il macabro record del 2022, con 85 persone morte.

E quelli che ci provano e non ci riescono sono almeno altrettanti. Ogni suicidio è un fallimento per tutti noi. Per noi cappellani che cerchiamo di stare ogni giorno accanto alle persone detenute e aiutarle nei momenti più difficili, per il sistema carcere e per lo Stato tutto. Perché in queste condizioni viene meno lo scopo rieducativo della pena, chi si toglie la vita non ha intravisto la possibilità di intraprendere un percorso e trovare un nuovo progetto di vita, non ha visto alcuna opportunità nel tempo della detenzione. Soprattutto le persone con un disagio psichico faticano a sopportare il peso della carcerazione. E molti detenuti che si tolgono la vita sono giovani e quasi a fine pena.

Allora perché il suicidio?

Molte volte perché hanno paura. Paura del vuoto che c’è fuori, gli manca la speranza e non vedono un futuro. Una persona che si toglie la vita dovrebbe interrogare tutta la comunità civile. Se chi sta per uscire dal carcere ha paura di essere stigmatizzato ed escluso, tutti noi siamo colpevoli.

A proposito di società. Papa Francesco ha molto a cuore il tema, è stato in visita alla Giudecca, aprirà una porta santa per il Giubileo in un carcere. Il nostro giornale, nel suo piccolo, propone una rubrica mensile sui temi legati al carcere proprio per provare a sfatare pregiudizi e abbattere muri. Tuttavia, in generale, spesso si ci si trova di fronte a una grande ostilità nei confronti delle persone detenute, possiamo fare di più?

Se la società esterna fa fatica a recepire il messaggio di accoglienza è perché manca una visione evangelica. Chi ha sbagliato deve pagare, ma manca una cultura della misericordia, la giustizia diventa vendetta. C’è bisogno di una cultura nuova di accoglienza. E noi come Chiesa facciamo proprio questo, portando avanti il messaggio di solidarietà e accoglienza dell’altro. Serve una formazione culturale all’accoglienza, e la Chiesa è maestra in questo. Nel dare voce a chi non ne ha, nello scuotere le coscienze di chi vive senza farsi coinvolgere, nell’incontrare chi è ai margini. Anche tra cappellani delle carceri e parroci dovrebbe esserci più collaborazione, per creare ponti tra il dentro e il fuori, coinvolgere le comunità. La Chiesa è una delle poche realtà accoglienti, può essere esempio di amore, può aiutare a produrre uno sguardo diverso sulla persona detenuta. Importante è continuare a seminare il più possibile.

In generale, quando si sente parlare di carcere, si ha l’impressione che le problematiche continuino a sommarsi una con l’altra, senza grandi speranze di risoluzione.

Le carceri italiane, in effetti, sono cambiate in peggio. Sono luoghi pieni di poveri. Molti detenuti, come già detto, hanno problemi legati alla salute mentale, poi, ci sono tossicodipendenti, migranti, senza dimora, le persone che si trovano più in difficoltà. Mancano gli spazi, gli edifici sono in larga parte fatiscenti. Così, quotidianamente, viene calpestata la dignità delle persone. Quella stessa dignità che, invece, aiuterebbe le persone a individuare un percorso per il futuro.

Cosa serve per poter migliorare la situazione?

Il punto più complesso da affrontare sono le pene alternative, che non sono uno svuotacarceri, ma un modo per dare alla persona detenuta la speranza per ritrovare se stessa e la propria strada. Percorsi volti alla riabilitazione della persona, per aiutarla a cambiare vita. Poi, una comunità accogliente, una società civile che, invece di puntare il dito, aiuti le persone a reinserirsi. C’è anche un mondo di associazioni e volontariato, cattolico e non, che dà un grande supporto alle persone che si trovano in carcere. Spesso questo mondo non emerge abbastanza, ma riesce a stare vicino sia ai detenuti che ai loro familiari.

Infine, è stato in visita a Treviso, com’è la situazione nella nostra città?

Era la prima volta che venivo in visita a Treviso, e mi ha colpito soprattutto la situazione del minorile. Quello di Treviso non è un luogo che può accogliere questi ragazzi al fine di riprendere in mano la loro vita, c’è bisogno di spazi che qui non ci sono. La situazione ora è esplosiva, c’è il rischio di nuove violenze. Per questo ci auguriamo che la nuova struttura di Rovigo venga aperta al più presto. Speriamo che le promesse fatte siano mantenute.

SE PENSI DI AVER BISOGNO DI AIUTO

In questo articolo si parla anche del tema dei suicidi. Se credi di avere bisogno di aiuto e sostegno psicologico, in Veneto puoi contattare il numero verde anti-suicidi 800.33.43.43. Il servizio di ascolto psicologico è operativo su tutto il territorio regionale 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, con un team di psicologi a disposizione. A livello nazionale c’è Telefono Amico Italia, che risponde, dalle 10 alle 24, allo 02 2327 2327.

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