lunedì, 31 marzo 2025
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IV Domenica di Quaresima: il passo dell’accoglienza

Il racconto del figlio prodigo e del Padre misericordioso ci guida nel quarto passo

Il quarto passo del nostro andare pellegrini di speranza verso Pasqua è “il passo dell’accoglienza”. Gesù accoglie coloro che non meritavano di essere accolti, fino a “mangiare con loro”. E lo fa perché ha intuito che il Padre suo fa così. Nella parabola che segue, il padre accoglierà entrambi i figli, che non si meritano di essere accolti.

Un padre che lascia partire, un figlio che si perde. Cerchiamo di fare emergere ciò che “sconvolge” le attese di chi ascolta, e provoca una risposta. Fin dall’inizio emerge un primo passaggio “fuori legge”: era fortemente sconsigliato dividere l’eredità tra i figli mentre il padre era ancora in vita (vedi Sir 33,20-24). Un secondo passaggio mette in risalto il comportamento sconsiderato del figlio più giovane: il suo andarsene in cerca di autonomia si trasforma in un disastro completo, perde ogni dignità e si riduce ad essere incapace perfino di «riempirsi il ventre» con il cibo dei porci, animali immondi per gli ebrei. A quel punto, riconosce la propria condizione, il proprio peccato e l’impossibilità di un qualsiasi perdono: Il discorso che fa a se stesso e che vuol fare a suo padre, è molto chiaro, l’unica prospettiva è “tornare sotto un padrone migliore”, che fa avere “pane in abbondanza” a chi lavora per lui. Non è il pentimento per quanto ha fatto di sbagliato a farlo “ritornare in se stesso” e a “tornare da suo padre”, ma il rischio di morire di fame.

Un padre che accoglie il perduto come figlio. E qui, un nuovo atteggiamento sorprendente da parte di quel padre. Vede il figlio fin da lontano, segno di un’attesa mai spenta, si lascia “mordere le viscere” da quella vista, contro ogni dignità richiesta dall’anzianità si mette a correre per anticipare l’incontro, gli si getta al collo impedendo che l’altro si getti umiliandosi ai suoi piedi, e lo bacia, incurante dell’impurità della sua condizione di disgraziato. E’ un atteggiamento sconveniente di un padre che non sa imporsi con severità su un figlio così scapestrato. Ma poi avviene qualcosa che è davvero “fuori legge”: colui che è ritornato è ammesso nuovamente alla condizione di figlio, con tutti i diritti che ciò comporta, compreso l’accesso al patrimonio del padre. E’ rivelatore il particolare dell’«anello al dito»: era l’anello con sigillo grazie al quale chi lo possedeva poteva disporre dei beni della famiglia.

Un figlio che rifiuta il fratello. Diviene così comprensibile la reazione dell’altro figlio. Si inizia anche in questo caso dalle viscere, da un “indignarsi” verso un comportamento ritenuto profondamente ingiusto. Oppone al padre un rifiuto ad “entrare”, ovvero a considerare casa sua quel luogo in cui tanto ingiustamente è stato accolto con grandi feste colui che si era mangiato l’eredità ottenuta forzando il padre. Il padre, infatti, non aveva l’autorità a riammetterlo nei “diritti di figlio”, perché quanto era rimasto del patrimonio era la parte del fratello maggiore, di cui il padre non poteva più disporre: quello che è tornato non può più essere considerato un “fratello”, ne ha ormai perso la facoltà. Da notare che neppure il più giovane aveva simili pretese, a lui bastava un lavoro in cui fosse assicurato un buon pasto... Il padre esce a sua volta incontro all’altro figlio, le sue parole dicono affetto ed amore. Ma non rinuncia ad affermare ciò che ha generato quell’accoglienza: è avvenuto ciò che era insperato, “questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

Da servi a figli. In fondo, nessuno dei due si vive come “figlio”: entrambi considerano il padre come un padrone da cui attendersi dei beni. E’ solo il padre a considerarli entrambi suoi figli, a costo di rischiare di perderli, il primo lasciandolo libero di andarsene, il secondo pregandolo di ritornare “fratello”. L’appello rimane aperto, il padre rimane sulla soglia, sperando di poterli riabbracciare entrambi... «In questa parabola il regno di Dio si fa cosi vicino all’uomo da rendere l’uomo più vicino a se stesso (riscoprendosi figlio) e più vicino all’altro uomo (riscoprendolo fratello)» (H. Weder).

Da figli a fratelli e sorelle. Gesù continua a proporre un volto di Dio che le prova tutte pur di cambiare con la propria misericordia il cuore dei suoi figli, e chiama ciascuno ciascuna ad accogliere questo amore che precede ogni nostro comportamento. Lui ci ama “a prescindere”, a costo di andare incontro ad una morte infame: un simile amore diventa infatti scomodo e irritante poiché sfugge ad ogni calcolo rassicurante di meriti e colpe. Propone una salvezza che vorrebbe aprire al pentimento, al rinnovamento del cuore, ad un’accoglienza di Dio e dell’altro dell’altra che rigenera speranza. Il padre della parabola spera davvero che la sua accoglienza della diversità dei suoi figli, la sua fiducia in loro possa compiere il miracolo dell’accoglienza reciproca fin dentro la durezza del loro cuore. L’amore di Dio vuol riunire entrambi i “perduti” nella festa dell’amore. Ciascuno ciascuna di noi, le nostre stesse comunità, sapremo accogliere questo invito a lasciarci rinnovare e rallegrare il cuore, riscoprendoci tutti “tornati alla vita”?

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