Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Tina Anselmi: l'omelia del Vescovo al funerale
Proponiamo il testo integrale pronunciato dal Vescovo di Treviso venerdì scorso a Castelfranco: "La fede ispirava e sosteneva la sua attività politica".

Signori Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati, Signori Ministri, Illustri Autorità civili e militari, Illustri Rappresentanti dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, carissimi Sorelle e Congiunti dell’on. Tina Anselmi, fratelli e sorelle tutti, sono molti oggi a dare l’addio, un addio commosso e grato, a Tina Anselmi. Lo dà questa città di Castelfranco Veneto, la sua amata città; lo dà la comunità cristiana di questa parrocchia del Duomo; lo danno le innumerevoli persone che l’hanno stimata e hanno apprezzato il suo impegno, la sua coerenza, la sua rettitudine; lo dà il Paese intero per i numerosi servizi di grande responsabilità resi con dedizione e intelligenza; lo danno, con profondo dolore per il distacco certamente assai sofferto, le sorelle Maria Teresa e Gianna, con i loro congiunti, e a loro esprimiamo la nostra sincera partecipazione.
È questo però, prima di ogni altra cosa, per il cristiano, il momento in cui la gratitudine e l’affetto si fanno preghiera; e la preghiera si fa ascolto della Parola di Dio che illumina il senso della vita e della morte, e si esprime nella partecipazione al mistero pasquale di Cristo vissuto nell’Eucarestia: dono totale che il Signore fa di sé stesso. Nella Pasqua del Signore il credente vede risplendere una Vita che sconfigge la morte, che sconfigge ogni morte. E allora il credente sente di accogliere con gratitudine le parole che Paolo scriveva quasi duemila anni or sono ai cristiani di Corinto, e qui riascoltate poc’anzi: «Siamo convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi» (2Cor 4,14).
Questa verità, che sta al cuore della fede, giacché Cristo risorto è al cuore della fede, ha certamente sostenuto anche il cammino di Tina Anselmi. La quale non nascondeva la sua fede. E la fede ispirava e sosteneva anche la sua attività politica, svolta come servizio al bene di tutti, come un generoso spendersi per gli altri, come un’incessante ricerca di tutto ciò che poteva rendere migliore la società, come - per usare le celebri parole di Paolo VI - “la più alta forma di carità”.
Non è certo questo il momento di tracciare il percorso politico di Tina Anselmi, rievocando gli incarichi prestigiosi che le furono affidati. Altri lo faranno, e doverosamente, con conoscenza e competenza ben più adeguate della mia.
Ma, mentre nel rito cristiano delle esequie affidiamo al Signore una persona che ha concluso la sua esistenza terrena, invocando su di lei il perdono, la misericordia e l’accoglienza del Padre, non possiamo rimanere indifferenti di fronte a tutto ciò che quella esistenza ha racchiuso in sé di buono, di esemplare, di significativo, di illuminante anche per noi. E tutto il positivo di quella vita diventa, in certo modo, come una preghiera, un rendimento di grazie. Perché il bene vissuto, perseguito, praticato è dono che ci fa benedire il Signore, il quale è la fonte di ogni bene. E questo è anche il nostro atteggiamento di fronte alla persona e all’esistenza di Tina Anselmi.
Molti hanno, giustamente sottolineato, in questi giorni, il suo rigore morale, la sua granitica coerenza, la sua “schiena diritta”, il suo senso della giustizia, la sua onestà cristallina. Potremmo sintetizzare tutto questo con l’attributo “giusto”, ascoltato nella lettura tratta dal libro della Sapienza. La quale si apriva con le parole: «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio… Parve che morissero… ma essi sono nella pace» (Sap 3,1-3).
Senza addentrarci nel significato biblico più preciso di questo aggettivo, “giusto”, sentiamo che esso racchiude tutte le caratteristiche di una persona dalla vita irreprensibile. Ci piace allora applicare questo aggettivo alla persona e alla vita di Tina Anselmi, e trasformare le parole del libro della Sapienza in una convinzione e insieme una pregheria: poiché è stata una donna giusta, noi preghiamo e crediamo che questa donna sia ora “nelle mani di Dio”, sia cioè accolta dalla sua benevolenza, dal suo amore, quasi affidata alla sua paterna è tenera custodia.
Vengono alla mente anche le parole del Salmo 15, in cui il salmista chiede: «Signore, chi abiterà nella tua tenda?»; e risponde: «Colui che pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore, non sparge calunnie con la sua lingua… Anche se ha giurato a proprio danno, mantiene la parola; non accetta doni contro l’innocente»; e conclude: «Colui che agisce in questo modo resterà saldo per sempre». Tina Anselmi fu davvero donna sempre “salda” nelle sue sapienti convinzioni e nella sua integrità.
Diverse persone, tratteggiando la sua biografia, hanno in certo senso ravvisato la radice di questa esistenza “giusta” nell’esperienza di quell’episodio drammatico cui Tina Anselmi fu obbligata ad assistere, ancora diciassettenne, a Bassano del Grappa: l’impiccagione, ad opera di nazifascisti, di 31 giovani catturati mediante un rastrellamento, come spietata rappresaglia per un attentato compiuto dai partigiani.
Si direbbe che quella terribile scena ferì profondamente la sua coscienza di adolescente; ma attraverso quella ferita entrò nel suo animo una acuta indignazione verso ogni forma di ingiustizia e di sopruso e una profonda sete di giustizia, di rispetto per la dignità di ogni persona, che l’accompagnarono poi per tutta la vita. Prese forma in lei - possiamo dire - quella “fame e sete di giustizia” espressa nel testo delle “beatitudini” proclamate da Gesù, che abbiamo ascoltato (cf. Mt 5,6).
La sua passione verso la giustizia si tradusse dapprima nell’impegno sindacale e divenne poi passione per la politica come arte nobile e tesa al servizio del bene comune; la politica come attenzione viva al valore supremo della persona e dei suoi valori, della sua dignità, dei suoi diritti, e anche dei suoi doveri; come impegno deciso per la costruzione di una società equa e solidale, in cui non prevalgano l’ingiustizia, l’illegalità, la corruzione, e le varie prevaricazioni e degenerazioni di un potere che per lei non poteva essere altro se non servizio.
Questa stessa passione la rendeva anche capace di parlare con efficacia ai giovani. Mi sembra bello ricordare che questo era ciò che faceva più volentieri, una volta lasciata l’attività politica, finché la malattia le permise qualche attività. Non diceva mai di no quando veniva invitata a parlare nelle scuole, ed erano sempre esperienze di successo. Quando aiutava i giovani a comprendere il senso più vero della libertà e della democrazia, dell’impegno civile, dell’uguaglianza sociale e della pace, essi l’ascoltavano come una testimone affascinante. Del resto la sua rettitudine morale e la sua passione civile la rendevano agli occhi dei giovani donna profondamente credibile e convincente.
Sapeva porre interrogativi, non pontificava mai. E rimaneva felicemente colpita dalla recettività nei giovani dei valori che erano stati gli ideali della sua vita. Per questo, anche se ricordava volentieri, ma con pudore, il suo passato, era persona che viveva il presente, convinta anzi che il futuro riservava grandi motivi di speranza. Finché la malattia le concesse spazi di dialogo, trasmetteva entusiasmo comunicando i suoi convincimenti, anche quando con realismo parlava delle derive sociali e politiche. Mai si chiudeva in visioni pessimistiche; prevaleva in lei la “ribellione della speranza”. Anche perché era convinta che il molto da fare attendeva ancora: sul ruolo delle donne, sulle opportunità per i giovani, sulla libertà e sulla giustizia quali obbligate condizioni per la pace.
Mi piace anche ricordare - come mi è stato raccontato - che, quando la malattia le impedì di muoversi, desiderava ricevere con frequenza la visita del suo parroco per ricevere i sacramenti. In quelle occasioni si intratteneva volentieri in conversazioni che privilegiavano argomenti religiosi. Si mostrava desiderosa di informazioni ma anche aggiornata, e amava lo scambio di opinioni per sviluppare riflessioni che manteneva aperte. Non condivideva, infatti, i giudizi definitivi, perché per lei gli interrogativi contenevano più verità. Ma quando si arrivava alla preghiera e all’esperienza sacramentale, era donna dalla fede semplice, quella del popolo, che aveva sempre conservato.
Abbiamo ascoltato nel brano evangelico l’apertura del “discorso della montagna”, le beatitudini. Il Regno dei cieli, ci ha detto Gesù, appartiene ai poveri di spirito, cioè agli umili, ai miti, ai misericordiosi, alle persone dall’animo retto, agli operatori di giustizia e di pace, ai perseguitati per la giustizia. Una pagina affascinante e insieme sconcertante, che può offrire luce anche all’esperienza di chi non si considera credente.
Siamo convinti che, pur dentro una condizione segnata dalla fragilità, quale è per tutti la condizione umana, queste esigenti modalità evangeliche di impostare la vita e le relazioni si possono riscontrare nella persona e nell’esperienza umana e cristiana di Tina Anselmi.
Di umili origini, non rinunciò mai alla semplicità della vita e non fu preoccupata di arricchire. I ruoli prestigiosi affidatigli non attenuarono l’innata modestia e mitezza, non accesero in lei atteggiamenti di arroganza. Qualcuno ha detto: «Era antropologicamente immune da qualsiasi vanità». Amava ricevere, nel suo sobrio appartamento, le persone che le presentavano sofferenze e bisogni; ascoltava comunque, anche se non poteva sempre soddisfare alle richieste. Se poteva, aiutava, ma non illudeva. Incapace di pettegolezzo, non si intrometteva nelle responsabilità altrui; e le sue sapeva mantenere nel segreto.
Questo, e molto più di quanto io abbia potuto richiamare in questo succinto ricordo, è stata Tina Anselmi. E noi esprimiamo tutta la tristezza di perdere questa grande donna, che è stata giustamente definita “Madre della Patria”, anche se la malattia l’aveva da tempo resa meno accessibile all’incontro.
Ma, nonostante la mestizia di questo addio, in questa celebrazione noi sperimentiamo l’intima consolazione di affidare al Padre misericordioso una donna, una cristiana, una servitrice del Paese, nella cui vita ha brillato la bellezza della fede, della rettitudine, del servizio. Il ricordo di questa grande donna, un ricordo denso di gratitudine, rimarrà certamente vivo e prezioso in tutti noi. Desideriamo che lo sia anche per le generazioni future.