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Manifesto di Ventotene e unità europea: De Gasperi e Spinelli, due “padri”


“Questa non è la mia Europa”. Con queste parole, pronunciate la scorsa settimana alla Camera dei deputati, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha dato il via a una furibonda polemica tra le forze politiche su uno dei testi “simbolo” dell’unità europea: il manifesto di Ventotene. Il testo fu scritto nel 1941 da Altiero Spinelli, intellettuale di sinistra che era stato espulso dal Partito comunista, e da altri intellettuali di matrice socialista e azionista, durante il confino cui erano stati sottoposti dal regime fascista nell’isola tirrenica di Ventotene. Il manifesto, teorizzava un’Europa unita e federale, ed è questo il motivo per cui viene ricordato, assieme, però, ad alcuni passaggi di matrice “rivoluzionaria”, frutto del pensiero socialista di quegli anni. Lo stesso testo, va ricordato, proponeva anche, per l’Italia, l’abolizione del Concordato.
Da più parti, è stato fatto notare che il Manifesto va letto alla luce delle idee politiche di quel tempo, e misurato, soprattutto, per la sua carica ideale per una prospettiva di integrazione europea. Sulla controversia, ma anche, più in generale sulle radici e le prospettive dell’interazione europea, abbiamo interpellato il prof. Francesco Bonini, storico e politologo, rettore della Libera università S. M. Assunta (Lumsa) di Roma.
Professore, cosa pensa di questa polemica sul manifesto di Ventotene?
Mi pare una tipica polemica politica, che avviene mentre l’Europa vive un passaggio molto delicato. Il manifesto di Ventotene era uno dei vessilli della manifestazione pro Europa organizzata da “Repubblica” e da Michele Serra. Storicamente, è stato redatto in un ambiente socialista e azionista. Tra gli estensori, Altiero Spinelli era stato iscritto al Partito comunista, Ernesto Rossi era azionista, Eugenio Colorni socialista, Ursula Hirschmann, moglie prima di Colorni e poi di Spinelli, proveniva anch’ella da una cultura socialista. Occorre distinguere la lettera del manifesto dal senso, dalla sua prospettiva, tra programma politico e trasporto ideale. Il manifesto pensava a un federalismo europeo come frutto di una rivoluzione, ma ben presto anche l’azione politica dello stesso Spinelli perse questo carattere rivoluzionario, tanto che già nei 1948 Alcide De Gasperi si avvicina a Spinelli, e viceversa.
Giusto, quindi, ricordare l’importanza del manifesto di Ventotene, ma anche l’essenziale contributo alla nascita dell’Europa di altri filoni culturali, a partire da quello cattolico.
Certamente. Tra gli europeisti, possono essere annoverati Winston Churchill, con i conservatori inglesi, i liberali, in particolare Jean Monnet, i socialdemocratici, come il belga Paul-Henri Spaake, certamente i cattolici. In tutti e sei i Paesi fondatori, esisteva un partito di Democrazia cristiana. Giustamente, il tedesco Konrad Adenauer, l’italiano Alcide De Gasperi e il francese Robert Schuman, tutti e tre democristiani, sono considerati tra i padri dell’Europa unita. De Gasperi con scelta lungimirante, vide ben presto l’opportunità di interagire, nella prospettiva europeista, tra vari filoni. L’idea di fondo fu quella di creare, oltre agli Stati democratici, una struttura sovrastatale, democratica anch’essa. In quella circostanza, il “di più” dei cattolici fu quello di dare all’integrazione europea un orizzonte istituzionale. Inoltre, come si può leggere nel famoso discorso del 1954, “La nostra patria Europa”, De Gasperi fa sintesi tra i valori della libertà, della giustizia sociale e della pace. Questa sintesi si trova, a quel tempo, in modo più completo, nella prospettiva dei cattolici.
Al di là delle polemiche, più di qualcuno, oggi, faticherebbe ad affermare che l’Europa è la propria patria, non le pare?
Sì, l’Europa si trova in una situazione di oggettiva crisi, anche di orizzonti. Non riesce a esercitare un ruolo significativo, di fronte a un contesto mondiale che torna a basarsi sugli “imperi”. C’è un limite strutturale, per dirla con una parola inglese, di “standing”, cioè di importanza, di autorevolezza, non si riesce a essere interlocutori autorevoli, rispetto a Stati che oggi si auto-rappresentano come “imperi”. E, invece, di costruire questo “standing”, prevalgono i piccoli interessi, qualche consenso in più. In definitiva, si gioca sulla paura, invece che sulla crescita del soggetto Europa. Papa Francesco, nel suo primo discorso al Parlamento europeo, parlò di “Europa nonna”, di un continente “vecchio”. Lo si sa, chi è anziano, difficilmente ha lo sguardo sul futuro, prevale la paura. Solo unita, trovando l’equilibrio tra ex imperi, come Gran Bretagna e Francia, e Stati più piccoli, può interloquire in questo contesto mondiale. Ma, al momento, non arrivano risposte. Devo anche dire che, oggi, ci sono leadership politiche molto modeste, vediamo ora cosa farà il nuovo Governo tedesco.
Il grande dibattito, oggi, è sulla Difesa comune, ma l’unico piano sul tavolo, il cosiddetto “Rearm Europe”, si rivolge, ancora, ai singoli Stati.
Quella sulla Difesa europea fu la grande battaglia persa da De Gasperi. Per completare il disegno degasperiano, serviva una vera comunità politica europea, che mettesse insieme, da un lato, le risorse, e, dall’altro, anche la Difesa. Ogni importante democrazia ha un esercito, il problema non è quello di riarmare l’Europa, ma creare un soggetto che abbia una deterrenza adeguata, rispetto ai neo-imperi. Il piano di cui si parla in questi giorni, si rivolge ai singoli Stati.
Sulla questione dell’esigenza, per l’Europa, di avere un’adeguata forza militare, ci sono perplessità e divisioni anche tra i cattolici. Lei come la vede?
Anche tra il 1948 e il 1954 il mondo cattolico fu diviso. Quando si trattò di entrare nella Nato, tre deputati democristiani, Giuseppe Dossetti, Dino De Bo, e Luigi Gui, votarono contro. Anche allora, c’era l’idea di un’Europa non armata, che però non prevalse. Del resto, già Machiavelli scriveva della rovina dei profeti disarmati. Il punto è un altro. Bisogna capire se la Difesa è parte di un progetto politico comune.
Al momento, non è così?
No, l’esigenza di un’Europa capace di difendersi è giusta, lo strumento è inadeguato, anzi, inutile. Occorre tornare a 71 anni fa, alla proposta di De Gasperi. Se, invece, l’Europa non sarà un soggetto, finirà con lo spendere una valanga di soldi in armi, si impoverirà, si creerà grande confusione. Paradossalmente, un piano sbagliato è costruito per creare la classica “eterogenesi dei fini”: di fronte ai tagli alle politiche sociali, favorirà elettoralmente proprio quelle forze populiste e nazionaliste che si oppongono a una prospettiva europea.