Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Bilanci di pace: gettiamo ponti
Stare nei conflitti. In un mondo che ne è sempre più pieno. Da persone di pace, capaci di far convivere radicalità e piccoli passi, idealità e capacità d’ascolto e dialogo. E’ la sfida delineata quest’anno da Paolo Bergmaschi, relatore della prima serata di“Bilanci di pace”, l’iniziativa promossa, da circa 15 anni, da Caritas tarvisina, Centro missionario, Migrantes, ufficio di Pastorale sociale e del Lavoro, Giustizia e pace, salvaguardia del creato, e dalla Vita del popolo, in qualità di media partner.
L’ospite della prima serata, che si è svolta a Treviso, in Seminario, lo scorso 11 gennaio, è una persona adatta per testimoniare la pace stando nei conflitti. Promotore di azioni nonviolente nei Balcani, amico di Alex Langer, ha a lungo lavorato al Parlamento europeo, alla Commissione Esteri, girando l’Europa, soprattutto a est.
Eravamo illusi? E’ ancora possibile parlare di pace? Sono le domande poste nel suo intervento introduttivo da don Bruno Baratto, coordinatore ad interim della Caritas e direttore di Migrantes, non prima di ricordare “con gratitudine e commozione” don Davide Schiavon, il direttore della Caritas recentemente scomparso.
Bergamaschi ha parlato della sua attività di funzionario dell’Unione europea, invitando a guardare al nostro Continente, e alla sua vastità e pluralità, perché oggi essere pacifisti significa, per molti aspetti, essere convintamente europeisti: “Al Parlamento europeo scrivevo le risoluzioni - ha detto Bergamaschi -. Ho capito che la forza e il limite dell’Unione europea è che ci sono 27 opinioni pubbliche diverse”. Lo diceva la scrittire Anaïs Nin: “Noi non vediamo le cose come sono; le vediamo come siamo noi”. Infatti, ha sottolineato il relatore, “il nostro punto di osservazione è a tremila chilometri dal Donbass. Invece, per i polacchi è il Mediterraneo a essere lontano. Inevitabilmente, ci sono opinioni pubbliche separate, priorità diverse. Si era parlato di eleggere alcuni parlamentari europei attraverso listini transnazionali, poi non se n’è fatto nulla. E’ fondamentale ascoltare, capire l’altro”. Nonostante i limiti, però, questa Europa, con delle eccezioni, come Cipro, ha garantito decenni di pace. “Volevamo allargare aree di pace, libertà e prosperità, verso est. Avevamo l’idea di averne intorno a noi una di cerchia di amici. Invece, c’è un cerchio di fuoco, con solo per l’Ucraina, ma per la Transnistria, l’Abkhazia, il Nagorno-Karabakh.
Anche nei Balcani, abbiamo perso. Volevamo costruire una rete di pace, alle elezioni vincono sempre i nazionalisti”.
Eppure, bisogna non stancarsi di gettare ponti, senza dimenticare che “la sicurezza è concetto collettivo, e non c’è sicurezza senza pace”. Si può fare l’esempio dei Paesi baltici, che confinano con il “gigante russo”.
La mente e il cuore vanno agli ucraini: “Ci sono stato molte volte - dice Bergamaschi -. Prima di tutto, vanno ascoltati, non possiamo dire noi a loro cosa devono fare. Poi, certo, bisognerà trovare una soluzione territoriale che metta fine a questo conflitto. Anche se non sarà vera pace”.