martedì, 22 aprile 2025
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“Dopo l'aborto sono stata perdonata dall'Amore più grande": la storia di Emma, ora volontaria per la vita

Pochi giorni fa l'annuncio del Papa che per il Giubileo della misericordia ha deciso di concedere a tutti i sacerdoti la possibilità di assolvere dal peccato di aborto. Un dramma che molte donne hanno spesso vissuto in solitudine, come Emma, che ci racconta la sua storia di riconciliazione e rinascita

Davanti alla storia di Emma sento l’urgenza di “togliere i sandali”, perché mi sembra terreno su cui Dio è andato ad abitare. E il suo racconto fa piazza pulita di tanti pregiudizi, generici e banalizzanti, aprendo uno squarcio di verità sul dramma dell’aborto, sulle ferite impresse nelle donne – in tutte le donne – che ricorrono all’interruzione volontaria di gravidanza, sui silenzi che, come pesanti coperte, calano sopra braceri accesi, sui sensi di colpa e, soprattutto, sulle vie del perdono e della misericordia.
Un nome alla sofferenza
Emma, 32 anni, vive in provincia di Treviso ed è felicemente sposata e mamma di due bambine. “I primi anni di matrimonio sono stati difficili; il problema principale ero io: non ero soddisfatta del rapporto con mio marito, non riuscivo ad amarlo come avrebbe meritato e allo stesso tempo non volevo lasciarmi amare davvero da lui.  Mi sentivo cattiva, sporca, e pensavo di non meritare di essere felice. La sessualità per me era un dovere, prima che un dono. Data la situazione abbiamo cominciato una terapia di coppia”. O questa o la separazione. E a stretto giro, Emma riesce a dare un nome al suo “problema”: “Ho capito che era dovuto al senso di colpa per un aborto che avevo fatto 12 anni prima, quand’ero diciassettenne”.
Eliminare il problema
“A quel tempo vivevo una vita normale, il liceo, il gruppo parrocchiale, gli amici. Ero assieme ad un ragazzo, stavamo crescendo e scoprendo pian piano il nostro corpo ed i nostri desideri”. Appena rimasta incinta Emma trova il coraggio di parlarne con la madre, poi dei giorni successivi ha un vago ricordo: “Vivevo come in una bolla, immersa nei miei pensieri, paure, mi sembrava di essere in un tunnel senza fine. Non potevo parlarne con le amiche, non potevo chiedere consigli a nessuno”. Così, quando le dissero della possibilità di abortire, fu come una boccata d’aria. “I miei genitori, anche loro disorientati ed incerti, mi accompagnarono da una psicologa perché mi aiutasse a capire che cosa volevo fare. Ma come si fa a chiedere ad una ragazzina di 17 anni che cosa vuole fare? Io l’unica cosa che riuscivo a pensare era che non volevo affrontare i pettegolezzi, andare a scuola con il pancione sotto gli occhi di tutti. Allora la psicologa mi disse che quello che avevo in pancia potevo vederlo come un ammasso di cellule che si poteva eliminare con una semplice operazione”.
Rispedito al mittente
E così è stato. Il giorno in cui Emma si è sentita la persona più sola al mondo. O forse abbandonata? “Come se quel bambino fosse un pacchetto da rispedire al mittente prima di aprirlo… non riuscivo a capire che invece era già lì in quel momento, vivo e vegeto, con un corpo reale. Questa è la verità che nessuno ha avuto il coraggio di dirmi: io ho ucciso un figlio che già c’era, non un’idea, una possibilità futura”. Poi non ne ha più parlato con nessuno. Ha ripreso la sua vita da dove l’aveva lasciata. Dopo un po’ Emma e il suo compagno si sono lasciati. Nulla era più come prima.
Sentirsi perdonati ma...
Sono passati anni. “Con tanto dolore e fatica, sono riuscita a capire la dimensione di quell’errore: avevo ucciso il mio bambino. Anche se cercavo di dire a me stessa che quello era solo un grumo di cellule, nel profondo del mio cuore sentivo che non era così. Avevo sbagliato a pensare di metterlo in «standby» perché in verità quel bambino non tornerà mai più, nessun altro figlio sarà mai lui ed io l’ho definitivamente perso sul lettino dell’ospedale, finito in un sacco per la spazzatura”.
Quando Emma realizza il peso dell’aborto i sensi di colpa la invadono: “Mi sentivo morire dentro, il mio era un peccato imperdonabile e senza ritorno. Ma ancora una volta il Signore, che negli anni era diventato mio compagno di viaggio e mio custode, era lì a tenermi per mano. Sono andata a trovare il mio padre spirituale e, durante la confessione, ho chiesto perdono per quello che avevo fatto. Purtroppo però, nonostante percepissi che il Signore mi aveva perdonata, non riuscivo a sentirmi meglio, perché non sapevo come perdonare me stessa”.
Mamma e figlio
Il sacerdote mette allora Emma in contatto con un Centro di aiuto alla vita e lì comincia il suo percorso di rielaborazione. “Lentamente sono riuscita ad accettare il fatto che sono una mamma anch’io, anche se mio figlio non è nato. Quanta sofferenza e fatica ho fatto a chiamare me stessa “mamma”. Una mamma dovrebbe prendersi cura di suo figlio, dovrebbe proteggerlo, amarlo e accettarlo sempre per quello che è… ed io ho fatto tutto il contrario, l’ho rinnegato, non l’ho lasciato «essere», vivere. Ho capito che, se non posso cancellare quell’errore, posso almeno cercare di dare una dignità a quella breve vita. Gli ho dato un nome ed ho iniziato a rivolgermi a lui, a dirgli quanto lo amo e a chiedergli di perdonarmi. Lui non aveva nessuna colpa se io non mi sentivo pronta, ero troppo presa da me stessa e dalle mie paure e non mi ero mai fermata davvero a ragionare sul fatto che lui era un bambino, vivo ed indifeso, che dipendeva totalmente da me”. Allora Emma ha rotto il suo silenzio lungo 12 anni e ha condiviso con i genitori, e poi con il papà di suo figlio, questo percorso.
L’amore rende fecondi
Oggi, diventata mamma di due belle bimbe, Emma è volontaria del Centro aiuto alla vita di Treviso e di Sos vita, “perché a me è mancato chi mi dicesse che ce la potevo fare e quali ferite avrebbe lasciato in me l’aborto”. La donna crede sia un suo diritto, senza rendersi conto delle conseguenze su di sé, sul proprio compagno, pensa che siccome è pratica diffusa allora è sostenibile e dal momento che lo sceglie poi non può lamentarsi.
“Riesci a perdonarti se senti di essere stata veramente perdonata da quell’Amore più grande che è capace di farti rinascere e di donarti la forza del perdono”.

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