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Il grido di libertà delle donne iraniane

Durante il mese di ottobre diverse esponenti della “diaspora” hanno portato la loro testimonianza in occasione di alcuni incontri a Treviso

Vari incontri hanno portato, lo scorso mese di ottobre, in diversi luoghi (palazzo Bomben, loggia dei Cavalieri) al pubblico trevigiano le voci e i volti di persone iraniane in lotta per i diritti umani, perlopiù donne: Fatima Benam, residente nella Marca da più di cinque anni e attivista del movimento “Donne giustizia e libertà”; Nasrin Bijanyar, attivista iraniana di “Unione Per la democrazia in Iran”; Reza Rashidy, scrittore e attivista per i diritti umani; Zoheida Mollaian, che fa parte della comunità Bahai iraniana; Mosen Mazheian, rappresentante nazionale di “Unione per la democrazia in Iran”. Alcuni di loro hanno fatto sentire la loro voce nell’iniziativa “Mi stai a cuore”, voluta dall’Avis trevigiana. L’associazione ha, infatti, promosso due incontri dedicati ai diritti delle donne in due aree di crisi, Afghanistan e Iran, “L’Avis ha non solo il cuore fisico da tenere sotto controllo, ma anche il cuore dei diritti umani, il cuore infranto di molte donne!”, la spiegazione giunta dall’associazione.

L’analisi prevalente, tra molti “iraniani della diaspora” (sono 6 milioni i fuoriusciti dal Paese), è che il movimento delle donne, partito con la morte di Masha Amini lo scorso anno, non è una realtà di emancipazione per ottenere più diritti, ma è una vera e propria rivoluzione, che attacca i fondamenti del regime islamico, dopo 44 anni di dittatura, a partire dalla “rivoluzione khomeinista” del 1979. Il movimento, dunque, non ha come obiettivo la libertà dei costumi, ma attacca dalle fondamenta un sistema di potere vecchio e superato. Oggi l’Iran è un Paese di giovani, se non di giovanissimi. Su 87 milioni di abitanti, il 67% ha meno di 30 anni .E’ una battaglia delle donne e dei giovani che, in sinergia, lottano, sin dalla costituzione della Repubblica islamica, per la modernizzazione del Paese.

Certo i pasdaran, le “guardie della rivoluzione”, come parte militare del Paese, sono stati rafforzati dagli ayatollah; basti pensare al ruolo rivestito dall’Iran nelle zone di crisi, in particolare in appoggio ad Hamas.

Tale militarizzazione ha ulteriormente indebolito il rispetto dei diritti umani. Oggi, però, vi è un’accettazione anche da parte degli uomini, dei diritti rivendicati dal movimento delle donne; e, in particolare, da una parte dei sindacati, che difendono i diritti dei lavoratori, che ormai hanno paghe bassissime e chiedono che un minimo salariale sia pagato regolarmente. Tuttavia, i pasdaran hanno ora in mano l’81% delle grandi aziende iraniane ed è chiaro, afferma Mosen Mazheian, che “non possono perdere l’enorme potere economico e finanziario che hanno accumulato come minoranza, per cui sono pronti, come qualsiasi regime totalitario, ad andare contro la loro stessa popolazione”.

L’elenco dei mezzi di tortura utilizzati, con orrore vengono nominati da tutti: avvelenamenti, torture di tutti i tipi, falsi suicidi, somministrazione di farmaci che portano alla pazzia. Tali strumenti, ora, si sono fatti più sofisticati, poiché il movimento non è più in piazza, le manifestazioni si sono rarefatte, e hanno trovato altre modalità di esprimersi.

La strada è ancora il luogo della protesta, ma è mutato il modo nel quale è usata: non più luogo di raduni destinati a essere dispersi con la violenza, ma scena di esibite affermazioni individuali. Nel nome di una rivendicata libertà, ragazze e donne la percorrono senza velo, incuranti, persino, del ritorno della “polizia della moralità”, che continua con la brutalità di sempre. Telecamere installate ovunque, schedatura visuale di massa per perseguitare le dissidenti e fare terra bruciata attorno a loro. Ciò non toglie che vengano utilizzati i sistemi brutali di sempre, come racconta Nasrin, la cui sorella incarcerata, incinta di 5 mesi, è stata uccisa; poiché, dopo la riconsegna del corpo, nessun cimitero l’ha voluta, hanno dovuto seppellirla nel giardino.

In un Paese così giovane come sopra accennato, quale potrà essere il futuro? Il futuro c è, ma è un processo in corso, come dice Mosen Mazheian: “Noi diaspora dobbiamo continuare a parlare, perché il regime sappia che ci battiamo per la libertà dell’Iran, i giovani e le donne hanno bisogno del nostro aiuto!”. E aggiunge: “Non abbiamo bisogno di aiuti esteri. Se si guarda alla storia, ai precedenti del 1918, 1959, 1979, ogni volta che sono intervenute le potenze straniere è stato un fallimento. Noi abbiamo bisogno del sostegno di tutte le società civili del mondo, che si battano con i propri Governi perché questi disconoscano questo regime totalitario e repressivo!”.

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