giovedì, 19 settembre 2024
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Fermiamo la nuova “folle corsa” alle armi nucleari

Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della rete Pace e disarmo, presenta la “Settimana di azione”

Nel duello tra Nato e Mosca per l’Ucraina, si sta alzando ancora una volta il rischio di un conflitto aperto per i continui trasferimenti di armi all’Ucraina e alla Russia. Le rinnovate minacce di Putin di fare uso di armi nucleari se da un lato indicano che non ci stiamo muovendo verso la fine del conflitto nel quadro del diritto internazionale, dall’altro aumentano il rischio di errori di calcolo. Nonostante i trattati sulle armi nucleari, si stima che nel mondo oggi ci siano 13nmila testate atomiche. E due Paesi con armi nucleari sono in guerra (Russia e Israele). I dati che emergono dal quinto Rapporto Ican sulla spesa globale nucleare indicano un aumento significativo nel 2023 delle spese per l’ammodernamento dell’arsenale nucleare (insieme a quello dei caccia per il loro trasporto), il che equivale a oltre 173 mila dollari al minuto. Nel mezzo di due giornate internazionali del 29 agosto (giornata contro gli esperimenti nucleari) e del 26 settembre (giornata per l’eliminazione totale delle armi nucleari) dichiarate dall’Assemblea generale dell’Onu, la Campagna internazionale per l’eliminazione delle armi nucleari (Ican - Premio Nobel 2017), network con più di seicento organizzazioni in 100 Paesi impegnate nella lotta per l’abolizione delle armi nucleari - dal 16 al 22 settembre sta promuovendo la prima “Settimana di azione globale sulla spesa nucleare”. Per approfondire le iniziative e le motivazioni di questa proposta, abbiamo intervistato uno dei promotori italiani Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della rete Pace e disarmo, autore del libro “Disarmo nucleare” per le edizioni Altreconomia.

Perché questa iniziativa, in corso anche in Italia?

La campagna internazionale Ican di cui facciamo parte ha sempre avuto un approccio politico ottenendo un trattato internazionale e pragmatico rispetto alla catena economico-finanziaria di produzione delle armi nucleari. Per promuovere questa settimana di sensibilizzazione, partiamo dall’ultimo Rapporto sulla spesa globale militare dove diamo conto come lo scorso anno tale spesa sia salita a 91,4 miliardi di dollari. Nonostante la guerra fredda sia finita questo aumento di spesa suona come un campanello di allarme in quanto significa che, anche se il numero di testate non sta aumentando, i Paesi dotati di armi nucleari (sono 9, ndr) stanno modernizzando i loro arsenali e quindi manifestano la loro volontà ad utilizzarli. Le minacce di utilizzo delle bombe atomiche sull’Ucraina e su Gaza dimostrano che, purtroppo, i Paesi ci stanno ripensando e i soldi – nonostante la crisi economica – sono una cartina di tornasole molto chiara.

Brutto segnale?

E’ certamente un indicatore molto forte di una “nuova” corsa al riarmo. Motivo per il quale, come campagna, si è deciso di parlarne in modo diffuso alla società civile e alle istituzioni. Ampliare la discussione serve anche a far emergere quanto il tema delle spese nucleari sia strettamente connesso con quello del coinvolgimento delle banche che finanziano il settore. E’ bene ricordare che il movimento per il disarmo nucleare è vecchio quanto le armi nucleari. E’ stata proprio la società civile attraverso l’Ican se nel 2017 si è arrivati al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw) nel 2017, ed entrato in vigore il 22 gennaio 2021, rispetto al quale l’Italia ha votato contro l’adozione. Tra i Paesi non firmatari troviamo tutti quelli che possiedono armi nucleari.

Leggendo il Rapporto emerge che ogni secondo si spendono 2.898 dollari, in armi nucleari mentre nel mondo oltre 2 miliardi di persone sono sotto la soglia di povertà. Pochi sembrano gridare a questo scandalo.

Il secondo elemento è certamente quello dello spreco delle risorse, che purtroppo non riguarda solo le armi nucleari. Ancor più è importante sottolineare questi dati perché l’arma nucleare, in caso di utilizzo in guerra, sarebbe un mezzo che minaccia l’esistenza di gran parte della popolazione mondiale, non impattando solo sulla zona di guerra dove viene utilizzata. Tutti gli studi dimostrano che, in caso di guerra nucleare, i veri morti non sarebbero al momento quando esplodono le bombe ma dopo sia per le radiazioni che per il cosiddetto “inverno nucleare”. E’ plausibile che una guerra nucleare tra Russia e Stati Uniti nel giro di 4-5 anni porterebbe a oltre 5 miliardi di morti. Per questo, è importante sottolineare alla gente che mentre si spende per costruire e mantenere armi che potrebbero cancellare dalla faccia della Terra gran parte dell’umanità, comunque la civiltà pe come la conosciamo. Dobbiamo far capire quanto in alternativa si potrebbe fare rispetto ad altri sistemi d’arma con le spese in armi nucleari. Il cambio di passo è solo una decisione politica. La spesa di un anno in armi nucleari ci permetterebbe, per esempio, di sfamare 45 milioni di persone che rischiano la carestia per 13 anni. Proviamo a pensare a cosa vuol dire 45 milioni di vite che possono pensare a un loro futuro, perché hanno da mangiare...

Per questo lo slogan dell’iniziativa di quest’anno è: “Niente soldi per le armi nucleari”?

Sì, perché le risorse che ci sono possono essere spese per generare speranza. Proviamo a pensare che quasi 17 mila vaccini contro morbillo, parotite e rosolia potrebbero essere somministrati con il valore della spesa di un solo secondo per le armi nucleari, o un milione di alberi piantati per contrastare l’avanzata del deserto con il valore della spesa di un minuto. O ancora con il valore della spesa di una settimana si potrebbe fornire acqua a 27 milioni di persone per servizi igienici che non hanno. Si tratta quindi di scegliere come investire le risorse. Si tratta di assumere consapevolezza che i programmi sulle armi nucleari di fatto tolgono fondi pubblici all’assistenza sanitaria, all’istruzione, ai soccorsi in caso di calamità e ad altri servizi vitali.

Papa Francesco, tra i segni di speranza per il prossimo Giubileo, invoca che “le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte”.

Non è nuovo il richiamo del Papa al tema del disarmo. Il salto di qualità di Francesco, rispetto ad altri leader mondiali, è l’inserimento di questo tema come strutturale all’interno della politica nonviolenta nelle relazioni internazionali. Il suo approccio al tema è globale: parla dell’industria militare, delle azioni che preparano ad una guerra e di come i fondi messi per le armi possano essere utilizzati per coltivare la pace, per ridurre le disuguaglianze. Il discorso che fa il Papa sul disarmo è di tipo strutturale e di natura politica: è qui la chiave di volta perché quello che ci dice non è utopia ma azioni concrete possibili.

A livello di comunicazione sembra ritornata possibile l’opzione nucleare...

Bisogna sdoganare l’idea che la minaccia nucleare sia elemento di deterrenza per un conflitto. Prova ne sono le recenti guerre in Ucraina e a Gaza, che vedono coinvolti due Paesi che possiedono le armi nucleari, mettendo come la deterrenza non funzioni. L’ideologia della deterrenza, intesa come capacità di distruggere delle città in pochi secondi, si basa sulla prospettiva di un genocidio. E’ l’esatto contrario di un mondo basato sui diritti, sullo sviluppo umano.

In Italia ci sono armi nucleari?

Attualmente l’Italia, firmataria dei trattati internazionali, non produce né possiede armi nucleari ma partecipa (insieme a Belgio, Germania, Olanda e Turchia, ndr) al programma di “condivisione nucleare” della Nato, fatto che non senza paradossi, fa sì che testate nucleari si trovino sul suolo italiano, ma siano sotto il totale controllo statunitense. A livello ufficiale non si conferma né si smentisce la presenza di testate nucleari americane nel nostro Paese che si troverebbero con ogni probabilità nelle basi di Aviano (Udine) e Ghedi (Brescia). Per quanto riguarda i numeri, da una quindicina di anni si parla generalmente di 50 unità, su un totale di 200 testate Usa in Europa.

Del nucleare il nostro Paese può continuare a fare a meno?

Assolutamente sì. Dovremmo farne a meno innanzitutto per il nostro dettato costituzionale (art. 11) e a maggior ragione, per quanto detto, per le armi nucleari in quanto strumenti di distruzione di massa. E’ bene sapere che tutti i modelli di guerra nucleare dimostrano che le zone attorno a Ghedi e Aviano sarebbero colpite nei primi 15-20 minuti da eventuali attacchi terzi, perché dovrebbero cancellare la possibilità di un secondo attacco. E che anche basi e aeroporti militari sarebbero oggetto di offensiva nemica. In questa prospettiva di mutua distruzione ci troviamo drammaticamente difronte al silenzio delle istituzioni.

E, infine, qualche giorno fa Zelensky è tornato a chiedere armi all’Italia. Cosa dovrebbe fare il nostro governo?

E’ certamente un conflitto che porta con sé il pericolo nucleare. Dopo due anni e mezzo di guerra si può constatare come gli armamenti non risolvono le tensioni, anzi le lacerano. Questo lo diciamo dall’inizio, constatando come alle continue forniture di armi siano state assegnate della capacità taumaturgiche e decisive che non si sono rivelate tali e che di contro non si siano operate in modo deciso delle soluzioni diplomatiche. Seppur comprensibile la richiesta ucraina, alla luce del tempo trascorso ci troviamo difronte al fallimento della diplomazia nella ricerca di una soluzione alla radice del conflitto, nell’avviare dei negoziati tra le parti. E’ ovvio che né Putin né Zelensky vogliono il negoziato perché sono su posizioni nettamente diverse e credono di poter vincere, ma il negoziato si fa preparandolo e dialogando con ambedue i Paesi.

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