Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Accordo con l’Albania sui migranti, si afferma il modello “Ovunque, ma non qui”
Sbarchi selettivi, respingimenti in un Paese terzo, trattenimenti arbitrari, possibili ricorsi, garanzie e diritti calpestati. Stesso impianto ad extra del diritto internazionale dei falliti accordi con la Tunisia, l’accordo bilaterale per i migranti con l’Albania appare a molti come una mostruosità giuridica che viola norme italiane e convenzioni internazionali, facendo perno su una sorta di extraterritorialità di fatto non prevista da nessuna legge. Un accordo che, tanto per cominciare, dovrebbe essere ratificato dal Parlamento. Il patto prevede la sistemazione in un hub a Gjader, in terra albanese, di una porzione dei migranti salvati in mare dalle navi italiane.
L’Italia si mette in scia
A ben guardare i riferimenti, anche se fallimentari, di altri Paesi europei ci sono. Pensiamo all’accordo tra Turchia e Unione europea per il trattenimento dei migranti, tra Austria e Kosovo per l’accoglienza esterna di detenuti stranieri nelle carceri balcaniche, tra Gran Bretagna e Ruanda per la gestione dei richiedenti asilo nel piccolo Paese africano.
In questi ultimi giorni anche in Germania si è manifestato qualche interesse per la politica migratoria gestita in Paesi terzi, mentre in Austria già nelle scorse settimane l’attenzione si è concentrata sul modello inglese.
Il giudizio dell’Unhcr, organismo dell’Onu per i rifugiati, resta netto: “Queste pratiche minano i diritti di coloro che cercano sicurezza e protezione. Li demonizzano, li puniscono e possono mettere a rischio le loro vite”.
Dopo il fallimento con Tunisi, l’Italia cerca, dunque, una sponda su Tirana, cercando di rispondere alla crescita degli sbarchi avvenuta nel corso del 2023.
Il contesto scelto per il nuovo hub
L’area che ospiterà i migranti destinati al rimpatrio in subappalto per l’Italia è una ex base militare albanese, che si trova a ridosso del piccolo villaggio di Gjader, frazione di Lezha, Alessio per i veneziani, Les per i turchi. Luogo cruciale nella contesa tra Occidente e Oriente: nella chiesa parrocchiale di San Nicola è sepolto Giorgio Castriota Scanderbeg, l’eroe più popolare dell’Albania, che nel Quattrocento riunì tutti i principi contro gli ottomani.
Gjader è situato nell’entroterra, a 20 km dal porto di Shëngjin (dove transiteranno i migranti in arrivo dall’Italia), a 25 km da Scutari (la capitale culturale del Paese delle aquile) e a 40 km dal confine con il Montenegro. Per chi è stato in Albania, è un posto disabitato immerso nel verde, con edifici diroccati e molti funghi di cemento, velenosi e ingombranti, ricordo della guerra fredda e della dittatura di Hoxha. Un’area non bonificata e considerata inquinata.
A Shëngjin, secondo la tradizione sarebbe sbarcato Giulio Cesare, nel corso della guerra contro Pompeo. Stretto tra lagune, mare e colline, questo piccolo porto è accessibile solo da Lezha, su una strada stretta tra la laguna e le colline.
Non tutto è chiaro nel protocollo firmato
Sul centro di permanenza temporanea di Gjader, dove verranno portate tutte le persone non ritenute in possesso dei requisiti per la richiesta di asilo, sono sorti numerosi dubbi di natura legale. Infatti, oltre a non aver indicato quali criteri saranno considerati per valutare le richieste di asilo, Meloni ha fatto intendere che qui finiranno per prassi tutte le persone ritenute non idonee, ma in base alle leggi italiane ed europee i richiedenti asilo possono essere trattenuti in strutture governative solo in casi eccezionali.
I problemi legali di una scelta politica
L’accordo prevede 36 mila posti all’anno con apertura prevista per la primavera 2024, e solleva diverse preoccupazioni in materia di diritti umani . La commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa (CoE), Dunja Mijatovic, sottolinea che la scelta si inserisce nel solco di “una preoccupante tendenza europea verso l’esternalizzazione delle responsabilità in materia di asilo”.
Il protocollo d’intesa, per la commissaria, “solleva una serie di importanti questioni sull’impatto che la sua attuazione avrebbe sui diritti umani dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti. Questi riguardano, tra gli altri, lo sbarco tempestivo, l’impatto sulle operazioni di ricerca e salvataggio, l’equità delle procedure di asilo, l’identificazione delle persone vulnerabili, la possibilità di detenzione automatica senza un adeguato controllo giurisdizionale, le condizioni di detenzione, l’accesso all’assistenza legale e rimedi efficaci”. Aggiungendo come il protocollo crei “un regime di asilo extraterritoriale ad hoc, caratterizzato da numerose ambiguità giuridiche. In pratica, la mancanza di certezza giuridica, probabilmente, minerà le fondamentali garanzie di tutela dei diritti umani e la responsabilità per le violazioni, con conseguente differenza di trattamento tra coloro le cui domande di asilo saranno esaminate in Albania e coloro per i quali ciò avverrà in Italia”.
Per il CoE, “garantire che l’asilo possa essere richiesto e valutato nei territori degli Stati membri rimane la pietra angolare di un sistema ben funzionante e rispettoso dei diritti umani, che fornisca protezione a coloro che ne hanno bisogno”.