Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Infiltrazioni mafiose, pochi anticorpi nel Veneto Orientale
“Le mafie si legittimano diventando i punti di riferimento delle comunità. Il Veneto non è immune da questo pericolo: manca infatti un’adeguata preparazione culturale per riconoscere i comportamenti mafiosi che la malavita usa per infiltrarsi”. Queste considerazioni di Maurizio Dianese, giornalista d’inchiesta del Gazzettino, sono state al centro dell’incontro “Giornalismo d’inchiesta e criminalità organizzata nel Veneto Orientale”, organizzato al “Caffè Letterario” di San Donà, nella serata di venerdì 27 ottobre da “Terre democratiche”, un gruppo di giovani del territorio che attraverso incontri come questo vuole promuovere un’azione politica etica, trasparente e basata sulla partecipazione attiva dei cittadini.
Durante la serata, Dianese ha ripercorso la storia della criminalità sulla costa veneta, anche alla luce di importanti inchieste avvenute negli scorsi anni: “La mafia è presente a San Donà sin dai tempi delle famiglie della malavita locale legate a Felice Maniero, boss della mala del Brenta, che aveva nel sandonatese alcuni affiliati e un suo braccio destro - ricorda Dianese -. Negli anni Ottanta giunse a San Donà di Piave Mimmo Celardo, uomo affiliato ai Casalesi. Questi si stabilirono successivamente a Eraclea per poi operare su tutto il litorale del veneziano, arricchitosi grazie al turismo e all’edilizia. Gli interessi delle associazioni criminali e degli imprenditori veneti “spesso si sovrappongono, perché entrambi hanno bisogno di trasferire ingenti somme di denaro in nero. La domanda di illegalità degli imprenditori veneti è molto alta e ha seguito l’ampliamento delle attività mafiose negli ultimi trent’anni: se nel 1995, quando mi occupavo della vicenda di Felice Maniero, pensavo che un cittadino normale non sarebbe mai entrato in contatto con un’associazione malavitosa, oggi, invece, le possibilità di finire nel vortice della criminalità organizzata sono mostruosamente più alte, perché la mafia si è diffusa in più settori. In Veneto non siamo culturalmente preparati e per questo le organizzazioni trovano terreno fertile. Dopo l’inchiesta di Eraclea, il vuoto lasciato dai Casalesi è stato velocemente riempito da altre organizzazioni: ‘ndrangheta, mafia albanese, russa, alle quali si aggiungono le mafie cinese e nigeriana, che operano tra Mestre e Padova. Sono frequenti le storie di veneti finiti indagati per reati gravi senza che si fossero accorti di ciò che stavano commettendo” racconta Dianese. Di fronte a questo scenario, il giornalista suggerisce alcuni accorgimenti che possano far nascere nelle comunità dei campanelli d’allarme di fronte alle infiltrazioni mafiose.
“Come mi disse il procuratore Nicola Gratteri, dobbiamo entrare nella mentalità di queste organizzazioni per poter capire le loro dinamiche: queste, infatti, anelano a diventare un punto di riferimento per le comunità, ad esempio sponsorizzando la squadra locale di calcio, le luminarie di Natale o la festa patronale. In questa sfida quotidiana associazioni come Libera, Arci, Wwf o Legambiente, ma anche semplici cittadini, contano moltissimo: sono loro, infatti, le prime sentinelle sui territori che monitorano la situazione e possono notare delle anomalie”. Confida poi Dianese: “Molto spesso, ho ricevuto le informazioni più importanti per le mie inchieste attraverso gli umarells (gli anziani che guardano i cantieri, ndr), che riuscendo a entrare in confidenza con gli operai, in alcuni casi hanno scoperto movimenti sospetti. Serve una cittadinanza attiva, informata e che osserva quello che accade nel proprio territorio: noi veneti dobbiamo uscire da quell’atteggiamento di disinteresse rispetto alle cose che non ci danno fastidio che ci contraddistingue. I giornalisti - ha concluso Dianese - sono il tramite: raccolgono le informazioni dal territorio e attraverso le loro inchieste, possono sollecitare le procure a indagare, aprendo le indagini. Serve anche la presenza attiva delle istituzioni, che devono rappresentare sempre i valori della legalità, dimostrandosi i veri punti di riferimento delle comunità”.