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"A Eleonora, Leonardo, Giovanni e Riccardo dobbiamo risposte di vita"

Circa cinquemila le persone presenti al campo sportivo di Musile al funerale dei quattro giovani morti in un incidente accaduto a Jesolo domenica sera. Il testo integrale dell'omelia pronunciata dal delegato ad omnia della diocesi, mons. Adriano Cevolotto.

“Abbiamo appena ascoltato dagli amici testimonianze, ricordi che volevano riassumere i tratti delle persone di Eleonora, Leonardo, Giovanni e Riccardo. In questo momento vogliamo raccogliere tutta la loro breve e intensa esistenza. Lo sappiamo che non è nelle nostre possibilità. Noi abbiamo solo dei frammenti, piccoli o grandi. Ma c’è qualcuno che custodisce tutta intera l’esistenza di ciascuno: il Dio della Vita. In Lui niente andrà perduto. Noi vogliamo esprimere la gratitudine per il dono che sono stati e affidarli alla Sua misericordia, che è la forza dell’amore di Dio Padre capace di assicurare un futuro di risurrezione”. Lo ha detto il delegato ad omnia della diocesi di Treviso, mons. Adriano Cevolotto, aprendo ieri il rito funebre per i quattro giovani morti nell’incidente di domenica scorsa a Jesolo: Leonardo Girardi, Eleonora Frasson, Giovanni Mattiuzzo e Riccardo Laugeni, tutti ventiduenni.

Circa cinquemila le persone presenti al rito, che è stato celebrato nel campo sportivo di Musile, mentre in tutto il Sandonatese è stato dichiarato il lutto cittadino. Tra i presenti il governatore del Veneto Luza Zaia e i sindaci di Musile e San Donà Silvia Susanna e Andrea Cereser; ha concelebrato una dozzina di sacerdoti.

Proponiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata da mons. Cevolotto.

 

 

“Abbiamo bisogno di luce che noi stessi non riusciamo ad avere”

I volti di questi quattro giovani da domenica sono diventati familiari e cari anche a chi, come me, non li aveva conosciuti. L’eco della notizia della loro morte tragica è andata ben oltre le loro famiglie, gli amici e i conoscenti, le comunità parrocchiali e i paesi di appartenenza. Lo sgomento è entrato nelle case e nel cuore di molti. La conclusione delle loro giovani esistenze ha provocato e ha incrinato anche tante nostre sicurezze. Ci siamo sentiti tutti più esposti, tutti più legati: “Poteva esserci mio figlio/a”, “… uno dei miei nipoti”, “… potevo esserci io”: queste alcune reazioni uscite dalle nostre labbra.

La morte tragica e maledetta che nella notte di sabato ha infranto le speranze, i sogni e i progetti di Eleonora, Leonardo, Giovanni e Riccardo ha prolungato l’effetto di oscurità in tanti di noi. Sembra quasi che sia ancora notte. Che siamo come avvolti dalle tenebre, Di brancolare nel buio. Tante domande. Senza risposte. Con fatica riusciamo a uscirne. Ma noi non possiamo continuare a vivere nel buio della notte. Abbiamo bisogno di luce che da noi stessi non riusciamo ad avere. Abbiamo bisogno di una luce che si alzi all’orizzonte, che ci venga incontro.

Chi in questi giorni non si è trovato nel sapore delle lacrime, che hanno bagnato il volto o quanto meno il cuore, il sentimento di rabbia, il grido di protesta e di giustizia? A questi sentimenti, a queste reazioni immediate, si unisce quel dolore che tende ad una chiusura. Il pericolo è di rimanere schiacciati e prigionieri in questa spirale. Penso in particolare a chi era più vicino a questi giovani. Questi stati d’animo, che sono una reazione del primo momento, potremmo continuare a coltivarli come un dovere nei loro confronti. Come qualcosa che dobbiamo loro per dire quanto ci erano cari. Ma in realtà noi tutti a loro dobbiamo risposte di vita. Proprio perché erano innamorati della vita, a noi è chiesto di vivere (la nostra vita) fino in fondo. Con intensità. Anche per onorare la loro memoria, il loro desiderio di Vita.

Ora, in quello che stiamo vivendo possiamo apprendere una prima lezione: ciò che siamo, ciò che di più prezioso abita i nostri cuori e i nostri pensieri è fragile, è vulnerabile e noi non possiamo custodirlo da noi stessi. E ci viene pure detto che i giorni che abbiamo non sono in grado di esaurire il carico di vita e di amore che troviamo dentro di noi. E non solo perché la nostra esistenza si conclude a vent’anni. Noi aspiriamo ad un compimento. E’ vero c’è più Vita che giorni.

A noi stamattina che stiamo celebrando nel rito cristiano delle esequie il congedo da questi figli, fratelli, amici, compagni di viaggio, viene incontro un orizzonte dentro il quale collocarci, una Parola (quella di Dio) che può irrompere nelle nostre tenebre e può rompere il cerchio di dolore che ci attanaglia.

E’ risuonata nella prima lettura la domanda: “Chi ci separerà…?”. Perché è proprio questa l’esperienza che facciamo: di essere strappati e di essere separati da ciò che è l’oggetto del nostro amore. Separati da ciò che abbiamo di più caro. S. Paolo, dopo aver riconosciuto che “la creazione è stata sottoposta alla caducità”, giunge a dire che niente, neanche la morte, è in grado di separarci dall’amore di Cristo e quindi dalla sua vittoria sulla morte. La forza del suo Amore è raccolta nella sua morte e risurrezione. Lì Lui rende impotente la morte. Nel suo Amore troviamo tutto e tutti. E’ motivo di grande consolazione sentire dalla bocca di Gesù che il Padre vuole che nulla vada perduto. Che nessuno può essere strappato dalla sua mano. Anche quando, in alcuni momenti o stagioni della nostra esistenza, noi ci allontaniamo da Lui, allentando la presa della sua mano illudendoci di poter farne senza, la sua mano ci stringe forte. “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,39).  Queste parole di Gesù aprono la nostra celebrazione alla speranza. Le mani di colui che ha conosciuto la morte ingiusta e drammatica è sceso e continua a scendere in quegli inferi nei quali la morte ci sprofonda. E ci tira fuori, aprendoci ad un compimento di quella vita che ora possiamo gustare solo in parte. “Dov’eri Gesù?”. Era lì, lungo quella strada, in quella via crucis di Eleonora, Leonardo, Giovanni e Riccardo. Era lì perché ha condiviso lo stesso destino di una morte violenta e scandalosa. Ma era lì per renderli partecipi della sua vittoria. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo”, dice l’angelo alle donne riguardo a Gesù, il Crocifisso. E con Gesù questo vale anche per i nostri fratelli. Niente ci strapperà dall’Amore di Cristo. Ritorniamo allora a questo amore che, solo, è capace di aprirci un futuro di Vita, nuove relazioni. E’ vero che da domenica tutto è cambiato, ma non è finito tutto.

Ed infine, mi rivolgo a voi, cari giovani, convenuti così numerosi stamattina: c’è un’altra drammatica lezione che possiamo raccogliere dalla morte di questi vostri amici e coetanei. Troppo spesso abbiamo trasformato la concretezza dei gesti quotidiani in una sorta di leggera virtualità. Rischiamo di perseguire l’idea che le nostre azioni, i nostri comportamenti non abbiano conseguenze. Quasi che la vita sia un videogioco, dove tutto alla fine si resetta per riprendere da capo la partita. La guida non è un videogioco, come non lo è nessuna delle nostre azioni: tutto ha delle conseguenze in noi e negli altri. Vere. A volte prevedibili, altre volte no. Conseguenze leggere o drammatiche. In pochi istanti, lungo la stessa strada la leggerezza ha prodotto morte e il coraggio ha salvato una vita. Quello che è capitato a loro può capitare a me, a te o a quelli che incrociamo per strada. Tanto dolore non può non provocarci seriamente tutti. O volete che non ci abbia insegnato proprio niente?

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