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Treviso: percorsi partecipati per l'abitare e una nuova sede per incontrarsi

Sono le richieste avanzate dall'associazione Quartiere San Paolo durante un incontro con l'Amministrazione comunale

Il supermercato di viale Nazioni Unite, nel quartiere San Paolo, non si farà. A fine 2020 c’era stata la mobilitazione degli abitanti e la raccolta firme contro un nuovo punto della grande distribuzione, che avrebbe spazzato via 18 mila metri quadri di verde.

Alla petizione era seguita la mobilitazione dell’Amministrazione comunale, che aveva presentato per quell’area il progetto di un bosco urbano. Dopo le minacce di richieste di risarcimento danni da parte del privato che voleva costruire lo spazio commerciale, però, qualche timore si era ripresentato.
“Lo scorso 28 gennaio abbiamo incontrato l’Amministrazione, che ci ha assicurato che il supermercato non ci sarà - ha chiarito Alfio Bolzonello, presidente dell’associazione Quartiere San Paolo -. Dei 18 mila metri dell’area 14 mila sono del Comune e diventeranno un bosco, gli altri 4 mila sono ancora destinati a uso commerciale e di proprietà di un privato. Tuttavia vogliamo fidarci delle rassicurazioni dell’Amministrazione e considerare chiusa la faccenda”.

Invece, durante l’incontro con il sindaco sono emersi nuovi temi e priorità, tra i quali la questione della residenzialità pubblica e la necessità di spazi per l’incontro e la socialità.
Il quartiere ha una vocazione popolare e tanti sono i palazzi e gli alloggi pubblici: “San Paolo ha circa 500 alloggi popolari - ha spiegato Bolzonello -. 100 di questi al momento sono vuoti. Abbiamo chiesto al Comune di non riempirli senza criterio. Il territorio non può reggere se vi si inseriscono tante marginalità senza un progetto. Quello che vorremmo è creare un tavolo di confronto con l’Amministrazione, che gestisce le graduatorie, l’Ater, proprietario delle abitazioni, e i cittadini del quartiere. In modo tale che i nuovi inserimenti di famiglie nel tessuto sociale siano accompagnati, venga costruito un percorso partecipato. In questo momento la situazione è assolutamente gestibile, non ci sono grosse criticità. Il quartiere ha attività, una sua socialità e progettualità, ma inserire tante persone nuove può comportare dei problemi. Noi siamo pronti all’accoglienza, ma vogliamo partecipare a costruirla assieme al Comune, anche per non lasciare le nuove famiglie abbandonate a se stesse”.

E’ chiaro che questi 100 alloggi al momento sono sfitti in larga parte, perché necessitano di una ristrutturazione, per cui non è assolutamente detto che siano disponibili in tempi brevi e tutti insieme. Tuttavia i numeri spaventano gli abitanti, che vogliono partecipare al processo di integrazione. “C’è il rischio che nascano dei problemi, noi vogliamo giocare d’anticipo. Il tema è grosso e non banale. Chiediamo di uscire dall’ottica della mera assegnazione, per cui tutto ciò che accade dopo non è più affare delle istituzioni, vogliamo un processo partecipato e fare la nostra parte per gestire un patrimonio che è pubblico e dunque di tutti”.
Dal Comune, in ogni caso, non è ancora arrivata una risposta all’istanza, che è stata presentata formalmente.

“Abbiamo fatto sapere che il territorio è pronto a fare la propria parte, la maniera si decida insieme, noi insisteremo perché si tratta di un tema importante e innovativo”.
L’associazione ha anche richiesto uno spazio pubblico in cui incontrarsi e portare avanti le tante attività del quartiere: “Abbiamo ripreso l’attività motoria per la terza età dopo lo stop forzato per il peggiorare della situazione pandemica nei mesi scorsi, organizziamo eventi di socialità e culturali, ma non abbiamo un luogo dove incontrarci. Dobbiamo ringraziare la parrocchia che ci mette a disposizione con molta generosità la sala Laura, di fronte alla canonica, ma in quell’ambiente, con le disposizioni anti-contagio, ci stanno sì e no 10-12 persone. Abbiamo bisogno di un luogo, anche un prefabbricato o una struttura in legno, purché abbia le dimensioni adeguate, almeno 80-85 metri quadrati, così da diventare punto di incontro e di riferimento. Non chiediamo cifre impossibili, ma una costruzione che potrebbe costare 20/30 mila euro, una cifra che il Comune può affrontare, mentre noi come associazione non ce la possiamo permettere e un privato difficilmente potrebbe offrire tale cifra. Non sarebbe un posto solo per noi, ma una «casa delle associazioni e delle cooperative» presenti nel quartiere che finalmente avrebbero un luogo di incontro, uno spazio aperto a tutti i cittadini dove coltivare la socialità di cui in questo momento più che mai abbiamo tanto bisogno”.

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