Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Treviso, negozi in crisi
La pandemia sta mettendo a dura prova l'attività dei commercianti che cercano di reinventarsi per non chiudere definitivamente
Sabato 13 marzo le commesse dei negozi cittadini salutavano sconsolate i clienti augurando “buona Pasqua”, consapevoli che sarebbe stato il loro ultimo giorno di lavoro per le successive tre settimane. Parrucchiere ed estetiste si organizzavano per tenere aperto domenica 14 e accontentare più persone possibile prima della chiusura. Sui social le aperture straordinarie venivano annunciate con l’hashtag “noi non molliamo mai”, poi da lunedì la città è tornata a un silenzio surreale, con scuole chiuse e serrande abbassate. Bar e ristoranti erano già chiusi da una settimana.
Un duro colpo per le piccole attività commerciali cittadine che già faticavano a trovare una quadra.
A livello provinciale, secondo l’analisi dell’Ufficio studi di Confcommercio, il commercio al dettaglio nei centri storici dal 2018 al 2020 registra un leggero calo (263-254), mentre fuori dai centri cittadini l’impatto è maggiore: da 530 imprese a 502. La mappa del commercio si sta modificando e i negozi di piccole dimensioni, nel post Covid, subiranno ridimensionamenti e riconversioni.
Una tendenza già in atto prima della pandemia, e che l’emergenza sanitaria ha reso ancora più evidente: quartieri che fino a pochi anni fa erano forniti di tutti i servizi essenziali ora sono una sfilza di saracinesche abbassate. Lo stesso dicasi per il centro città, dove anche in Calmaggiore la crisi si fa sentire: a parte un paio di prossime aperture e di spostamenti o ristrutturazioni di attività già avviate, nei pochi metri tra piazza Borsa e il Duomo si contano ben sette negozi sfitti, due dei quali hanno terminato di recente l’attività con la liquidazione di tutti i capi e ora sono stati smantellati come gli altri, già vuoti da un po’.
Resistono le attività che hanno saputo rinnovarsi, come ad esempio lo storico negozio Coccinella, di San Liberale, che per anni ha venduto abbigliamento, intimo e merceria e che oggi, preso in mano dalla figlia della titolare, ha cambiato nome ed è diventato un negozio di vestiti alla moda, presentati nei migliori abbinamenti grazie alle dirette Instagram e alla promozione sui social. Sorti diverse sono toccate invece ad altre attività storiche del quartiere, come la cartoleria Giovannina che non ha trovato nessuno che volesse raccogliere la sua eredità e ha chiuso per sempre.
Così è anche per bar e ristoranti, che quest’anno per rimanere a galla hanno dovuto mutare radicalmente le loro prassi di lavoro. E’ il motivo per cui pubblici esercenti e alimentaristi hanno deciso di iniziare a guardare oltre la pandemia e proporre un master dedicato alla ripartenza.
Dania Sartorato, presidente di Fipe Confcommercio Treviso, ha spiegato: “La nostra categoria è stata ed è tuttora molto penalizzata, abbiamo deciso di rimetterci in gioco e di partire dalle nuove dimensioni che ci ha lasciato la pandemia, dalla consegna a domicilio a tutte le declinazioni del “fast” oggi richieste dai nuovi consumatori. Stanno cambiando gli ordini, il modo di fare i menu, le tipologie di consumo, la modalità di consegna, sta emergendo un nuovo concetto di lusso. Prima era quantitativo, oggi è lusso tutto ciò che è qualitativo, ecologico, veloce, rapido, sicuro, vicino, sottocasa. Stiamo dentro una transizione che è già la nuova normalità. Esploreremo questi concetti che sono già iniziati nel primo lockdown e che ora si stanno consolidando”.
“Noi siamo stati i più esposti - ha proseguito Riccardo Zanchetta, presidente di Fida, categoria che raggruppa tutto il commercio alimentare -. Ma abbiamo visto davanti ai nostri banconi la paura della gente, lo smarrimento, il cambiamento dei clienti, le nuove modalità di spesa e le richieste. Ci siamo adattati in poche ore e abbiamo reagito. Il problema non è né l’ordine su whatsapp, né online. Il problema è che oggi sta cambiando nel profondo l’approccio al cibo e al consumo alimentare. La qualità da sola non basta, serve il servizio post vendita, soluzioni gastronomiche innovative che entrino nelle abitudini quotidiane delle famiglie”.
L’Ammministrazione comunale nelle scorse settimane ha incontrato Ascom per programmare insieme la ripartenza.
“Quella dei negozi sfitti ha concluso - Federico Capraro, presidente di Ascom Confcommercio - è una questione annosa che si protrae da anni e che si riflette sull’intera attrattività della città. Nel post pandemia si sentirà ancora di più. Esiste una mappatura parziale che non è mai stata aggiornata e potrebbe essere l’occasione anche per rimettere mano ai contratti commerciali, sdoganandoli da alcune rigidità che, insieme ai prezzi elevati, in molti casi penalizzano chi vuole aprire”.