Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Senza dimora, servono accoglienza, cura e relazione
Dallo scorso 8 dicembre la chiesa di Santa Maria sul Sile ospita alcune persone senza dimora che non hanno un posto nel dormitorio comunale lì accanto, in via Pasubio.
Dopo la morte di Mandeep Singh, il ragazzo indiano mancato nei primi giorni di dicembre nel parcheggio sotterraneo della cittadella delle istituzioni, dove dormiva con altri migranti, don Giovanni Kirschner, parroco di Santa Maria Sul Sile, si è confrontato con volontari e gruppi parrocchiali e ha deciso di aprire le porte della chiesa: “Il 3 dicembre - ha raccontato il sacerdote - c’erano 15 persone che dormivano qui fuori, erano qui, davanti ai nostri occhi e non potevamo fare finta di niente, rischiare che succedesse un’altra volta. Abbiamo considerato gli spazi della parrocchia, negli spogliatoi del campetto ci stanno massimo 4-6 persone, l’oratorio era più problematico, così abbiamo pensato alla chiesa. Ho condiviso la proposta con i miei parrocchiani durante la messa, nel giorno dell’Immacolata, tra le persone che mi hanno fornito un riscontro, una larga maggioranza si è detta d’accordo, così, dall’8 al 15 dicembre abbiamo aperto le porte della chiesa”.
Il 15 dicembre, il Comune di Treviso ha annunciato che, a partire da lunedì 18 dicembre e fino al 29 febbraio 2024, sarebbe stato attivato il servizio “Emergenza freddo”, ospitato dall’asilo notturno di via Pasubio, a favore delle persone senza dimora e in grave stato di marginalità. Il servizio offre un ricovero notturno, pasti (cena e colazione) e servizi per l’igiene personale a favore di 14 ospiti in più, oltre ai 20 già accolti in regime ordinario. Il dormitorio apre le porte alle 20, poi gli ospiti escono tra 7 e le 8.30 il mattino successivo.
Tuttavia, nonostante gli accessi al dormitorio di lunedì, la situazione, martedì 19, era la seguente: “Ospitiamo ancora quattro persone negli spogliatoi e cinque in chiesa, uno rimane fuori, per sua scelta”. Don Giovanni, che è in contatto con l’Amministrazione comunale, ha messo al corrente le istituzioni. La situazione ha toccato nel profondo molti parrocchiani, come racconta il sacerdote: “Domenica, quando sono arrivato in chiesa, la persona che aveva fatto il turno di dormire in chiesa quella notte insieme ai nostri ospiti mi ha detto: « E’ stato semplice. E’ una cosa naturale: non dovrebbe essere questo che fanno i cristiani?». Più tardi un’altra persona mi ha raccontato: «Quando sono entrata in chiesa e ho visto tutti i lettini lì in fila, mi è venuto da pensare che siamo tornati ai tempi di Gesù, quando la casa di una famiglia era composta di una sola stanza; lì facevano tutto. Così adesso siamo qui, in chiesa, tutti insieme, a dormire, a pregare, a vivere, ricchi e poveri insieme»”.
Per aiutare i senza dimora, la comunità non ha bisogno di cose, quanto di persone, per l’assistenza notturna e per le colazioni del mattino, momento di incontro e di relazione: “La relazione e il riconoscimento dell’altro - ha proseguito don Kirschner -, fanno la differenza nella salute mentale delle persone di cui ci prendiamo cura. Attraverso l’incontro e la conoscenza si superano le diffidenze, con alcuni senza dimora abbiamo già fatto un percorso di inclusione che ha permesso a una persona di trovare un lavoro e ritrovare dignità e fiducia in se stesso, con altri nascono amicizie”.
Mandeep è stato anche ricordato, assieme a tutti i poveri che muoiono per la dura vita sulla strada, venerdì 15 dicembre, nella chiesa di san Martino Urbano. Il momento di preghiera, promosso dall’ufficio diocesano Migrantes, dalla Comunità di Sant’Egidio e da altre realtà è stato presieduto da don Bruno Baratto, direttore dell’ufficio diocesano di Pastorale delle migrazioni (Migrantes) e coordinatore “ad interim” delle attività pastorali della Caritas tarvisina.
Tuttavia la funzione avrebbe potuto essere più partecipata: “E’ stata anche questa un’immagine di una società a cui la morte di Mandeep non interessa, non interessava da vivo e non interessa ora che è morto - ha commentato Valerio Delfino di Sant’Egidio -. Anche le istituzione, dopo gli interventi dettati dall’imbarazzo, torneranno a non interessarsi. E per istituzioni non intendo solo Prefettura e Comune di Treviso, che qualcosa stanno facendo, ma gli altri 91 Comuni della Marca, purtroppo solo una stretta minoranza fa qualcosa per contribuire all’accoglienza”.
“E questa nostra generazione - la conclusione provocatoria di don Bruno Baratto, che ha celebrato anche a nome del vescovo Tomasi - , a cui anche noi apparteniamo? Si lascia smuovere da una morte, come quella di Mandeep? e da quella di altri più di 360 morti tra i senza dimora finora quest’anno in Italia? Non chiediamolo agli altri, chiediamolo a noi stessi. Lo chiedo a me”.