giovedì, 21 novembre 2024
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Isolati ma non soli

La situazione sanitaria ha reso le persone detenute negli istituti di Santa Bona, adulti e minori, ancora più isolati, interrompendo le attività con le scuole e il mondo del volontariato. Resiste il lavoro dei cappellani

A un anno dall’inizio della pandemia abbiamo cercato di ricostruire la situazione vissuto all’interno della casa circondariale di Treviso e dell’istituto penale per minori. La sofferenza delle persone ristrette, a cui sono venute a mancare diverse attività e servizi, è stata alleviata dalla presenza dei sacerdoti e delle religiose che hanno sempre avuto accesso alla struttura, dal sostegno degli educatori e da un proficuo dialogo con la direzione.

Anche in questo caso le nuove tecnologie, una volta attivate, hanno aiutato a rendere più sopportabile l’isolamento.

Non ci sono stati focolai Covid, né accese proteste all’interno del carcere di Santa Bona che oggi ospita 180 persone a fronte di 147 posti ordinari: “I detenuti in ingresso vengono posti in quarantena preventiva - ha spiegato il direttore Alberto Quagliotto - i colloqui con i familiari sono stati sospesi fino a luglio, sostituiti dalle videochiamate; ora è possibile ricevere anche delle visite in presenza, grazie a ulteriori misure di sicurezza. Purtroppo abbiamo dovuto apportare restrizioni alle attività seguite dai volontari, come teatro o concerti, per evitare che troppe persone entrassero in contatto con i detenuti, però la scuola oggi prosegue e chi usciva durante il giorno per andare a lavorare continua a farlo; queste persone dormono in un’area separata della struttura e sono testate circa ogni 20 giorni, come anche i dipendenti”.

“La direzione - ha spiegato don Pietro Zardo, cappellano del carcere maggiore - si è confrontata fin da subito con i rappresentanti dei detenuti, dando attenzione alle loro esigenze, e questo ha evitato le situazioni drammatiche che si sono viste in altre strutture”.

Dopo un primo momento di smarrimento dunque le persone ristrette si sono adattate alla situazione, tuttavia i risvolti psicologici non mancano: “C’è apprensione per la possibilità di diffusione del virus nella comunità carceraria” ha chiarito Quagliotto, mentre don Pietro ha precisato: “In molti cercano i colloqui con me e con la cooperatrice pastorale, non c’è movimento di persone, per cui si è creato un vuoto di presenza, il carcere è un ambiente di grandi silenzi. Chi ha famiglia è seriamente preoccupato per la situazione fuori, per i problemi sanitari, ma anche per quelli economici, poiché spesso i nuclei familiari di persone ristrette partono con una marcia in meno sotto tanti punti di vista. La domanda che mi sento rivolgere più spesso è «Cosa sta succedendo fuori?». Anche la scuola all’inizio è stata un momento di aggregazione che è mancato, nonostante ora sia ripreso. Così noi incontriamo persone che ci interpellano con le motivazioni più disparate, poiché non hanno altri punti di riferimento, per noi dunque oggi la cosa fondamentale è creare una relazione”. “A fine novembre è ripresa la catechesi, con due operatori esterni, ed è stato un ritrovarsi, anche il momento della messa domenicale, non vorrei banalizzare, è certo il momento dell’eucaristia, ma mi viene da dire che è anche l’unico momento socializzante della domenica, il giorno più difficile della settimana in carcere”. L’attività nella casa circondariale dunque prosegue, senza i volontari, e con il personale che al lavoro complesso del quotidiano aggiunge tutte le precauzioni anti-contagio. Anche qui si attende il vaccino: “Stiamo raccogliendo le adesioni - conclude il direttore - ma non sappiano ancora quando sarà previsto, al momento opportuno arriverà notizia dal ministero”.

Erano tante le attività di relazione dell’istituto minorile con l’esterno, portate avanti da diverse realtà del territorio, oggi completamente sospese: “Tra scuola, laboratori, attività con i ragazzi degli istituti superiori cittadini e delle associazioni e sport si cercava di mantenere delle relazioni per quanto possibile normali con i coetanei - ha spiegato il cappellano del minorile don Otello Bisetto -. Dal lockdown dello scorso marzo e fino a luglio nell’istituto di esterno sono entrato solo io e gli altri membri della cappellania. Per i ragazzi inizialmente è stato un duro colpo. Solo a settembre c’è stata qualche piccola apertura in più. Dunque anche per noi il servizio è stato più intenso, perché prima ognuno aveva il suo pezzetto di attività ora la presenza del cappellano diventa l’unica opportunità di confronto e di sfogo. Questo tuttavia ci permette di conoscere meglio i ragazzi, siamo più sollecitati all’ascolto, al dialogo e alla relazione, giochiamo a scacchi e a qualche gioco di società, si riesce a parlare di cose più personali. Manca comunque la relazione con i coetanei, per cui stiamo sollecitando per far rientrare gruppi di giovani attraverso la pastorale giovanile”. Nella struttura, che ospita dai 10 ai 12 minori dell’età media di 17 anni, scuola e colloqui in videoconferenza all’inizio hanno scontato la mancanza di attrezzature adeguate, ma poi l’istituto minorile è riuscito ad adeguare la propria dotazione e inoltre da ottobre le lezioni sono riprese in presenza anche se con qualche difficoltà nel trovare gli spazi adatti. “Seppur tutto è rallentato - ha concluso don Otello - le équipe di educatori, psicologi e assistenti sociali proseguono nel loro lavoro seguendo ogni ragazzo nel suo progetto individuale”.

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