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Il ricordo di Luciano Fanti del bombardamento del 7 aprile 1944 sulla città di Treviso

Nel racconto di quel lontano Venerdì Santo di sangue, in cui la città fu rasa al suolo, la paura, il buio, la morte, ma anche la solidarietà e la speranza. 

07/04/2023

“Mi ricordo ogni attimo di quei terribili minuti. A un certo momento, entrò nel rifugio sotto le mura, a porta Filippini, il  cappellano del Duomo, don Enrico, e diede a tutti noi l’assoluzione «in articulo mortis». La terra tremava, come fosse un terremoto, la giornata di sole aveva lasciato il posto a un buio surreale, sabbia e polvere entravano dalle minuscole finestrelle, le bombe cadevano tutto intorno a noi”. Luciano Fanti, classe 1932, figura nota nel mondo ecclesiale e nell’Azione cattolica trevigiana, era un ragazzino, quel 7 aprile 1944. Venerdì Santo, il “venerdì di passione” della città di Treviso, che venne rasa al suolo dalle “fortezze volanti” degli Alleati. In questo 2023, pesantemente turbato da minacce di guerra, le celebrazioni di quel 7 aprile sono particolarmente solenni, perché la data coincide di nuovo con il Venerdì Santo (è la seconda volta dopo il 1944, accadde solo nel 1950, la prossima sarà tra 11 anni).

Ci affidiamo, così, al ricordo di Luciano Fanti, che quel giorno era appena tornato dalle funzioni del Venerdì Santo (che all’epoca si tenevano al mattino). “Suonò l’allarme, e tutti ci dicemmo:«Andiamo via!». Mia mamma non voleva, perché aveva appena preparato la zuppa di pesce. Io e mia sorella abbiamo insistito. I fratelli più grandi salirono in terrazza per vedere la contraerea, con una cassetta in testa, e poi ci raggiunsero. Abitavamo in piazza San Vito, «all’ombra del campanon», dove mio papà aveva un rivendita di formaggio e andammo in uno dei rifugi più vicini, sotto le mura”.

Seguirono dei minuti terribili. Fortunatamente, nessuna bomba colpì il rifugio, cosa che invece accadde in altri luoghi della città. “Quando siamo usciti, vedemmo tra la polvere cumuli di rovine. Una casa, davanti al Municipio, era crollata, e dovemmo fare il giro per i Buranelli. Vedemmo anche il Palazzo dei Trecento che era crollato. La nostra casa, invece, era rimasta in piedi, anche se era restata senza finestre, e pure la zuppa di pesce si era salvata. Poco dopo fu nuovamente lanciato un allarme, e stavolta scappammo con il pentolone, che condividemmo anche con altri, ai Buranelli”. Al dodicenne Luciano non fu consentito dai genitori di andare a vedere cos’era successo in giro per la città.  “Mio fratello più grande, invece, che ci andò, fu impressionato dal disastro, dal numero di morti che venivano portati in Battistero. Quel giorno morirono numerosi miei amici e conoscenti, noi otto in famiglia restammo tutti vivi”.

Ma non si poteva certo rimanere lì. Fanti partecipò alla messa pasquale a Villorba:“Già il venerdì ci spostammo lì, rimase a Treviso solo mio papà, per presidiare il negozio, dato che la finestra era sfondata. Fummo accolti dalla famiglia dell’ostetrica del comune, per fortuna trovammo subito un posto e fummo ben accolti. Sicuramente a Pasqua andammo a messa a Villorba, ma non ho particolari ricordi di quella celebrazione”.

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