Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
A Treviso la preghiera per i migranti morti nel loro cammino
La veglia è stata promossa dalla comunità di Sant'Egidio e celebrata nella chiesa di San Martino dal vescovo Michele Tomasi e da don Bruno Baratto, responsabile diocesano Migrantes
Come ogni anno, in occasione della giornata mondiale del rifugiato, la comunità di Sant’Egidio ha promosso una veglia di preghiera in ricordo delle vittime dei viaggi della speranza. A Treviso la veglia si è tenuta lunedì 27 giugno nella chiesa di San Martino urbano, ed è stata presieduta anche quest’anno, dal vescovo Michele, e concelebrata da don Bruno Baratto, responsabile diocesano Migrantes.
Alla presenza di rappresentanti delle associazioni, numerosi cittadini, profughi accolti nella caserma Serena, arrivati tramite i corridoi umanitari e famiglie ucraine, la veglia ha vissuto i momenti più toccanti nella processione di ingresso della croce di Lampedusa, con delle immagini simbolo della tragedia, accompagnate da canti africani ; è, poi, stata fatta memoria delle tragedie avvenute nell’ultimo periodo (pensiamo a quanto avvenuto nei giorni scorsi a Melilla, il piccolo territorio spagnolo in terra africana), la maggior parte delle quali passate sconosciute all’opinione pubblica. Sono, infatti, almeno 3.200 i profughi di cui si ha notizia che sono morti da gennaio 2021 a oggi, che diventano 62.390, se consideriamo questa triste conta a partire dal 1990.
Significative le parole del Vescovo, nell’omelia che, partendo dal brano del Vangelo di Matteo al capitolo 25 pone una domanda riferendosi alla descrizione del giudizio universale “Io da che parte sono?”. Mons. Tomasi ha posto l’accento sulle parole impegnative “ogni volta”, sia in positivo che in negativo “ogni volta che avete fatto” o “non avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. In gioco è la scelta libera e decisiva di ogni singola volta nella vita, che diventa una chiamata, in cui ho scelto di fermarmi o di passare oltre, ho scelto di accogliere o di chiudermi.
La comunità di Sant’Egidio, nel saluto iniziale ha sottolineato “come l’accoglienza spontanea, immediata riservata a tante famiglie ucraine in fuga dalla guerra dove abbiamo potuto assistere all’impegno diffuso di tante istituzioni, associazioni, cittadini nella raccolta e disponibilità in aiuti di ogni genere, nell’ospitalità, nell’apertura veloce di scuole, di procedure di regolarizzazione, di sostegno pubblico e privato ecc, dimostrano che è possibile fare un’accoglienza diversa, più umana, più cristiana”.