mercoledì, 20 novembre 2024
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Zero Branco, l'ascolto che non fa "rumore"

Come altri sacerdoti anziani, con l'arrivo della pandemia, non ha potuto proseguire con le consuete attività. E si è messo a disposizione dei parrocchiani attraverso il cellulare

Un servizio silenzioso e discreto, portato avanti quotidianamente quasi nell’ombra. Ma che, tuttavia, risulta davvero essenziale. Perché va a raggiungere chi troppo spesso è dimenticato o ignorato. Ancora di più in tempi di pandemia. È quello dei sacerdoti anziani residenti nelle nostre comunità parrocchiali. L’età, il cambiamento dei tempi e della società, il distacco dalla fede di molti, il virus: nulla di tutto ciò li ferma. Anzi.

E se il Covid, si sa, ha azzerato in toto le visite a casa o nei luoghi di cura, non è riuscito ad azzerare il loro spirito di servizio, di attenzione alle persone sole, agli ultimi, a chi è in difficoltà o ha semplice necessità di una parola di conforto e sostegno. Un esempio concreto arriva da Zero Branco, dove don Renato Comin, classe di ferro 1933 e in servizio come collaboratore pastorale a Zero Branco, Sant’Alberto e Scandolara dal 2012, dopo ben 35 anni da parroco, con il lockdown ha “re-inventato” il proprio servizio.          

Don Renato ha infatti deciso di mettere a disposizione il proprio tempo “da pensionato” per essere raggiunto, telefonicamente, da quanti avessero bisogno di compagnia, di condividere una parola con una voce amica. Non è come vedersi di persona, come stringersi una mano di fronte a un caffè, ma è meglio di niente. E aiuta. Tanto che le telefonate sono davvero molte.

“Fino a prima della pandemia andavo a trovare circa 100 anziani della parrocchia. Una volta bloccate le visite a causa del virus ho pensato di condividere il mio numero di cellulare con la comunità. Anche perché spesso ho l’impressione che le persone abbiano quasi timore a contattare i sacerdoti, sapendoli impegnati e attivi su più fronti: così ho messo semplicemente a disposizione il mio tempo da pensionato, avendo la fortuna di averlo e di essere in salute” spiega lo stesso don Renato, “sentivo la necessità di rimanere in contatto con le persone che abitualmente andavo a trovare, ma in generale di rendermi disponibile all’ascolto, sia nei confronti degli anziani, sia di persone sole, isolate o di famiglie con figli diversamente abili. Con qualcuno le telefonate sono brevi, con altri ci sono chiacchierate più lunghe. Un tema più ricorrente? Senz’altro quello del lavoro. Quel che è certo è che c’è davvero necessità di ascolto, la gente ha bisogno di parlare”.   

È proprio sul tema dell’ascolto che don Renato, già parroco a Guarda, San Gaetano e Busta-Contea poi a Pero e San Giacomo di Musestrelle, tiene a sottolineare qualcosa in più.      

“Nella vita ho imparato il bisogno di lasciar parlare e quindi di ascoltare: anche come sacerdoti eravamo stati abituati quasi esclusivamente a dare consigli, a dire la strada da percorrere, a sottolineare la nostra posizione. Le persone, non solo gli anziani ma davvero tutti, compresi quelli apparentemente distanti da noi, hanno invece molto da dire. E spesso non hanno occasioni per esprimersi. A noi la possibilità, significativa, di ascoltare” sottolinea il sacerdote, 87 anni compiuti lo scorso 29 ottobre, “Dall’ascolto e dall’incontro con le persone possono arrivare davvero grandi insegnamenti e me ne sto rendendo conto ogni giorno, sia nelle telefonate che nel sacramento della confessione. Anche da ciò, ho imparato che serve cogliere il positivo delle persone, delle cose, dei fatti: si fa di più guardando le cose belle e positive, certo non da ingenui, piuttosto che focalizzandosi solo sul brutto, sul negativo, sul male. Come ha detto papa Francesco più volte dalle grandi crisi come quella attuale non si uscirà uguali, ma migliori o peggiori. Come credenti dobbiamo avere speranza, sapendo che nulla avviene per caso e che il Signore non è lontano e non ci abbandona”.

Don Renato, più volte, con l’umiltà che lo caratterizza, sottolinea la “non straordinarietà” del proprio servizio da sacerdote anziano. Di sicuro, il suo - per lui che nel giugno 1958 ha ricevuto l’ordinazione dalle mani dell’allora cardinale e patriarca Angelo Roncalli, che pochi mesi dopo sarebbe divenuto papa Giovanni XXIII - può però definirsi un “servizio buono”, potente quanto una carezza a un bambino. E che fa bene al cuore.

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