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Povegliano: la peste del 1631 nelle cronache del parroco

Nell’archivio della chiesa, i pievani di allora, don Poletta e don Novello, riportano varie note al riguardo e nei registri anagrafici dei defunti non manca la segnalazione del primo cittadino colpito dalla peste. Anche allora vi furono molti divieti imposti dalle autorità, per evitare il diffondersi del contagio.

06/04/2020

Nel 1631 la peste imperversò in molte città e campagne dell’Italia del Nord e anche il piccolo paese di Povegliano fu colpito da quella micidiale epidemia. Nell’archivio della chiesa, i pievani di allora, don Poletta e don Novello, riportano varie note al riguardo e nei registri anagrafici dei defunti non manca la segnalazione del primo cittadino colpito dalla peste. Anche allora vi furono molti divieti imposti dalle autorità, per evitare il diffondersi del contagio e tante persone decedute, dopo una rapida benedizione da parte del sacerdote, venivano addirittura sepolte nell’orto o nel campo della stessa famiglia.

In quegli anni, diverse case padronali del paese appartenevano a nobili cittadini veneziani, che passavano abitualmente parte del tempo estivo nelle rispettive proprietà di campagna; tra i tanti che giungevano a Povegliano ricorrono spesso il nome della contessa Michieli, sposata all’ufficiale austriaco Angaran, e quello dei Grimani, proprietari di un mulino alimentato dalle acque del Brentella, il canale che attraversava il centro. Alcuni dei componenti di quest’ultima famiglia, proprio nel periodo della peste del 1630-’31, avevano cercato rifugio nella casa di campagna per sfuggire al terribile morbo, ma la lontananza da Venezia fu vana, perché non riuscirono a salvarsi e anche per loro (i registri parrocchiali lo precisano) ci fu la sepoltura dietro casa, per evitare i contagi. Il pievano, molto scrupoloso nelle sue annotazioni, precisa alcuni momenti del trapasso dei malati in questi termini: “Jseppo morse 3 hore in circa avanti al levar del sole. Anzolo subito opresso che apena havrà detto Jesus. Juanne morì stanotte prossima passata. Bortolo volò al goder il dottor d’ogni bene. Maria, molestata da incomodi, compì di vivere”.

A testimonianza di questo flagello, lo stesso storico Francesco Fapanni riporta nei suoi scritti la notizia di una pietra rossa murata sulla casa del Borgo al civico 55, ad indicare il confine esatto della diffusione della pestilenza di quell’anno, precisando che “ha infierito dalla parte di mattina e nulla dalla parte di sera”. La pietra, che ancora esiste, è stata salvata e messa in doveroso risalto sulla facciata della stessa casa, anche grazie ai lavori di recupero di reperti antichi fatti dall’Associazione del Fante di Povegliano. Sul mattone di color rosso - cm. 40x40 - è incisa la seguente scritta: “1631 ADI 5 OTTOBRE FU DELIBERATA LA VILA.- D.T.M. (di tal memoria) A FATO FARE” ; poco lontano, dall’altra parte della strada, su una delle tante case di proprietà della contessa Sernagiotto, fu costruita una edicola tuttora esistente con la statua di San Rocco in segno di “grazia ricevuta”.

Da ricerche storiche fatte da un appassionato di storia locale, si è poi scoperto che le pietre erano due, entrambe murate sulle facciate delle ultime due case colpite. Purtroppo, una delle due è andata perduta con il restauro del rustico negli anni ‘50 - casa Genovese -. E’ da precisare che la pietra ritrovata era seminascosta da una canna fumaria, appoggiata a un muro annerito e screpolato dal tempo. 

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