Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Pasqua e Pasquetta inusuali: il Montello si gode il silenzio
Il silenzio si è insinuato sul Montello, ha aperto le finestre al suono delle campane: un rintocco nitido e un po’ strafottente per l’insperato dominio sui rumori dell’uomo. Tacciono i motori, si sono spente le voci, si è arrestato il brusio di sottofondo. Scorre così, come un fiume pigro, la Pasqua del 2020.

Il silenzio si è insinuato sul Montello, ha aperto le finestre al suono delle campane: un rintocco nitido e un po’ strafottente per l’insperato dominio sui rumori dell’uomo. Tacciono i motori, si sono spente le voci, si è arrestato il brusio di sottofondo. Scorre così, come un fiume pigro, la Pasqua del 2020: regala un tuffo nel passato, fa riemergere immagini di tempi in cui ristoranti e agriturismi non avevano aperto i battenti. Ma la Pasqua di un tempo traboccava di voci, di auguri, di profumi. Grappoli di persone dirette alla chiesa si fermavano poi a conversare sul sagrato. E c’era chi saliva fino al cimitero, bicicletta a mano e un mazzo di fiori di pesco sul portapacchi. Quest’anno no. Un virus malevolo si sta battendo per sopraffarci, sta sacrificando migliaia di vite, cerca scappatoie alla nostra reazione. Il Montello è paziente. Lo è sempre stato dai tempi di Monsignor della Casa, da quando ha rinunciato alle sue genti per i roveri della Serenissima e ancora, poi, con il Regno Italico che ha riempito la prigione di montelliani accusati di furto di legna: morti di fame che accettavano con piacere la condanna per poter mangiare un tozzo di pane. La collina ha subito la guerra, raccogliendo sangue di non importa chi, perché il sangue è dolore universale. Ha sorriso al ritorno della normalità, ha accolto giovani e adulti presenti a Pasquetta alla messa, celebrata a Bavaria da don Arnoldo Dal Secco, al Capitello della Madonna. Da lì salivano a piedi o in bici, in tasca le uova colorate di verde con le ortiche e una fetta di focaccia cotta nei forni di pietra. Là nascevano amicizie, si condivideva, si cantava fino a sera. E intanto i bimbi sgambettavano lungo i pendii, si conquistavano le uova sode centrandole con una monetina per tornare poi con ginocchia sbucciate e capelli grondanti. E gli adulti li guardavano in tralice. Andata quella stagione, la qualità della vita migliora, qualche ristorante si affaccia sulle prese, le fabbriche mettono fondamenta lungo il Piave, la Cinquecento e il Ciao, il motorino tanto ambito dagli adolescenti, piano piano entrano nelle case. Pasquetta sul Montello, sul Piave, sul Sile diventa un must.
Le voci dei ragazzi coprono quelle degli animali, la musica delle autoradio si fa assordante, quella delle radioline portatili, per fortuna, è meno invasiva. Il tempo va, tutto avanza, i ristoranti fioriscono, le campane suonano il mezzodì tra distrazione e frenesia. Le formiche in fila indiana camminano lungo il tronco di un albero a qualche metro da un viavai di auto. I pochi angoli attrezzati registrano il sold out dal primo mattino, gli altri si trasformano in letti di erba novella per gruppi di giovani che, con lattine, barbecue, birre e dolcetti da supermercato si impossessano di prati in fuga contro le acacie, di colline che paiono tante schiene di gatto in confronto alle Prealpi. È Pasquetta, il Montello si inorgoglisce per tanto interesse anche se a sera si ritrova calpestato, a volte violentato con sacchi di rifiuti lasciati da gesti veloci, eppure concede sempre all’uomo la chance di ravvedersi. Quest’anno ha preparato ciliegi in fiore, ricoperto la terra di colori, ha richiamato i merli a deporre uova azzurre nei nidi. Ma, lui non lo sa, gli uomini stanno soffrendo negli ospedali, piangono i cari che non hanno visto morire, temono per quel domani che fino a un mese fa era certezza. “Ieri - dice Annamaria Vanzin che abita tra Crocetta e Biadene - ho udito soltanto il rumore di una moto. Sentivo il canto degli uccelli, il raglio di un asino e il silenzio che ha un suo suono. Oggi, giorno di Pasquetta, nemmeno una moto si è azzardata a rompere l’armonia”. Stessa emozione anche a Nervesa, al maneggio Cavalieri delle Zorle. “Ieri - racconta Lisiana Lazzarotto -, nella mia zona non c’era anima viva. Oggi riscontro qualche movimento appena percettibile, una bici, pochi passi. Nient’altro. Il nostro maneggio è chiuso con permesso di accesso soltanto agli istruttori per il benessere degli animali che hanno bisogno di movimento”. Tutto fermo. Solo le formiche camminano lungo un tronco d’albero accanto alla strada deserta.
Il Montello sembra il mondo alla fine del mondo, come direbbe Sepùlveda, ma ci invita, con un oplà, a scavalcare pensieri oscuri per riallineare il passo e avanzare con intelligenza. E il Piave, che scorre poco più in là, approva.