Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Il medico sandonatese Attilio Manca fu ucciso dalla mafia
Dopo 19 anni, le indagini sulla morte del giovane medico di origine siciliana, nato a San Donà di Piave, ridanno finalmente dignità e onore all'urologo che si rifiutò di operare nel suo bunker il boss corleonese Bernardo Provenzano. Questo portò alla sua uccisione, per anni archiviata come suicidio.
Non è certo un punto conclusivo, ma certamente siamo a un punto di svolta della lunga storia che riguarda Attilio Manca, il giovane medico urologo siciliano, nativo di San Donà di Piave e trovato cadavere a Viterbo, nel febbraio 2004.
Il punto in questione è quello messo dalla Commissione parlamentare antimafia, che nel suo ultimo rapporto pubblicato, scrive: “Attilio Manca è stato ucciso” e la sua morte è stata “una conseguenza dei contatti avuti” con Bernardo Provenzano. Un “omicidio di mafia”, frutto “di una collaborazione tra la cosca mafiosa barcellonese e soggetti istituzionali estranei a Cosa Nostra”.
Omicidio di mafia
Quindi, tanto per ribadire e fare chiarezza senza ogni ombra di dubbio: la scomparsa di Attilio Manca è omicidio di mafia; l’associazione mafiosa che vi ha preso parte è “quella facente capo alla famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto”. Il mandante, il boss Bernardo Provenzano, la ragione “le cure sanitarie” richieste “dal latitante corleonese”.
Finalmente, dunque, la sua famiglia, i suoi genitori e il fratello Gianluca e le tante persone che si sono interessate alla sua storia hanno avuto un primo positivo riscontro al loro impegno e alla lunga e annosa battaglia per la verità.
Ora “non ci sono più alibi per nessuno”, ha affermato in modo perentorio l’avvocato Fabio Repici il legale che assiste la famiglia Manca.
Frettolosa archiviazione
Ripercorriamo, seppur brevemente, la vicenda. Attilio Manca era nato a San Donà di Piave nel 1969 ed è stato trovato morto nella sua casa di Viterbo l’11 febbraio 2004.
Nel suo sangue, alcol etilico, eroina, barbiturici. Il caso viene chiuso molto velocemente, considerandola come una morte per overdose, ma Attilio non aveva mai fatto uso di stupefacenti. E allora si avanza l’ipotesi di suicidio, il tutto viene comunque archiviato.
La famiglia non ci sta e combatte per giungere alla verità: Attilio era mancino ed era molto strano che quella siringa - impugnata da una mano destra - non abbia lasciato una sola impronta. Ma sono molti i “pezzi mancanti” del puzzle: le telefonate scomparse nei tabulati, i mancati esiti degli esami tricologici, le escoriazioni e le tumefazioni sul corpo, la non considerazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Chiedono che l’inchiesta sia riaperta, i suoi genitori ne fanno l’unica ragione di vita. In molti si occupano della sua storia, soprattutto giornalisti come Federica Sciarelli, Michele Santoro, e più recentemente la trasmissione “Storie di sera”, di Eleonora Daniele. Ma non la magistratura, e a oggi, viste la conclusioni a cui è arrivata la Commissione Antimafia, appaiono ancora più inspiegabili le prove non considerate, le omissioni, i depistaggi, gli spunti investigativi messi da parte in maniera quantomeno superficiale.
Passano dieci anni, e si scopre che forse c’è stata una colluttazione, ne passa un altro e un pentito dice che, dopo la morte del medico, un tal Salvatore Rugolo, mandante dell’omicidio di Beppe Alfano, si era infuriato con il capomafia di Barcellona, a suo dire responsabile dell’omicidio di Manca, chiamando in ballo anche il boss dei boss Bernardo Provenzano.
La nebbia comincia a diradarsi: in un’intercettazione risalente all’autunno del 2003, parlano amici del boss, e dicono, riferendosi proprio a quel giovane medico: “Faremo fare la doccia al dottore”. Perché gli avevano chiesto - lui così bravo - di operare Provenzano nel suo bunker e lui aveva rifiutato. Uno sgarbo pagato con la vita.
Si inizia a fare chiarezza
Finalmente, oggi, dopo ben 19 anni, si inizia a fare chiarezza sulle tante incongruenze che hanno costellato questa vicenda.
“Dopo molti (troppi) anni, le menzogne lasciano il posto alla verità - scrive Luca Grossi nel sito internet della rivista «Antimafia Duemila» -. Certamente si dovrà ancora percorrere il tortuoso cammino giudiziario, ma il lavoro svolto dai componenti della Commissione, ha finalmente ridato lustro al nome di Attilio Manca, più volte infangato da chi ha operato attivamente affinché venisse dipinto come un drogato, un tossico, morto suicida per un’overdose provocata da un mix di droga e farmaci”.
La speranza del fratello
Sono parole che ci ripete anche Gianluca Manca, fratello di Attilio, che abbiamo sentito telefonicamente nei giorni scorsi: “La cosa più importante è proprio questa, aver ridato dignità a mio fratello, a una persona che non c’è più e che per tanti anni si voleva far passare non solo come un suicida, ma anche come un morto nella maniera più meschina, come un tossicodipendente”.
“Sono innumerevoli gli ostacoli posti sul nostro cammino, ma non potranno mai impedirci di arrivare alla verità”, ha scritto nelle sue pagine Facebook la mamma di Attilio, Angela Manca. E anche il fratello Gianluca è sulla stessa lunghezza d’onda.
“Per noi non è una vittoria - ci dice -, infatti rimane una sconfitta il fatto che si debba ancora chiedere giustizia a distanza di quasi vent’anni. Purtroppo, oggi, emerge una verità storica, anche se non ancora una verità giuridica”.
Nella chiacchierata telefonica che ci ha concesso abbiamo toccato vari temi, che emergono anche dalle conclusioni della Commissione Antimafia: quello della trattativa Stato-Mafia, delle protezioni e dei favoreggiamenti garantiti a latitanti illustri come il boss Bernardo Provenzano, dei servizi segreti deviati, a cui alcune intercettazioni telefoniche e deposizioni di pentiti ritenuti credibili in diversi processi attribuiscono l’esecuzione dell’omicidio di Attilio Manca.
“Dopo 19 lunghi anni hai riacquistato la dignità, l’onore, la pulizia morale, che ti hanno sempre contraddistinto e di cui avrebbero voluto privarti. Sono serena, amore mio, la lunga battaglia di tutti questi anni non è stata vana!”, sono le parole che scrive Angela Manca nel giorno dell’anniversario della morte di Attilio, lo scorso 11 febbraio.
Finalmente, al di là della storia giudiziale e della possibile riapertura di un fascicolo di indagini sulla sua morte, ciò che conta è, non solo aver ridato la dignità, ma anche l’onore ad Attilio. Perché ciò che emerge e viene urlato nelle 130 pagine del rapporto della Commissione Antimafia, è che Attilio Manca non solo è una vittima di mafia, ma è un eroe coraggioso, un medico che non si è piegato a prestare i suoi servizi alla mafia, ma anzi, che si è rifiutato di prestare le cure al boss e quel boss, Bernardo Provenzano, adirato per il rifiuto, avrebbe chiesto ai suoi “scagnozzi” di fargliela pagare. Attilio non è un drogato, non è un suicida, è un medico ligio al suo giuramento di Ippocrate, coerente con il suo pensiero di vita e coerente fino alla fine con la sua idea di onestà di medico e di uomo.