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Casa Giavera: trent'anni di vita e 1.200 persone accolte

A partire dal 1990, oltre 1.200 persone provenienti da 41 Paesi diversi hanno abitato in questa casa dando vita a un’eccezionale esperienza di vita comunitaria.
Qui hanno trovato un’abitazione immigrati lavoratori, richiedenti asilo, vittime di tratta, soggetti vulnerabili, e vi risiedono sia immigrati di lungo periodo che nuovi ospiti, in una dimensione di convivenza gestita in prima persona dai residenti.

Trent’anni di vita, trent’anni di vite accolte, accompagnate, condivise. E’ la ricorrenze che riguarda Casa Giavera, l’abitazione che accoglie persone provenienti da tutto il mondo. Giavera perché si trova nel comune di Giavera del Montello, in provincia di Treviso.
A partire dal 1990, oltre 1.200 persone provenienti da 41 Paesi diversi hanno abitato in questa casa dando vita a un’eccezionale esperienza di vita comunitaria.
Qui hanno trovato un’abitazione immigrati lavoratori, richiedenti asilo, vittime di tratta, soggetti vulnerabili, e vi risiedono sia immigrati di lungo periodo che nuovi ospiti, in una dimensione di convivenza gestita in prima persona dai residenti. Mettendo insieme la mappa dei luoghi di origine degli abitanti passati per Casa Giavera, è possibile osservare le diverse forme e percorsi delle migrazioni che hanno attraversato questo territorio.
Il sostegno della diocesi di Treviso
Sostenuta dalla diocesi di Treviso attraverso Caritas, oggi gestita insieme alla cooperativa La Esse; l’ufficio diocesano Migrantes accompagna e supporta le iniziative della casa. “Casa Giavera ha sempre cercato di rispondere ai bisogni delle persone, che cambiano nel tempo - spiega Francesca Dettori, presidente di La Esse -, lavoriamo tantissimo sull’autonomia personale, sull’inclusione lavorativa, abitativa e sociale delle persone, con tutto il loro carico di esperienze passate e di aspettative e desideri per il futuro”.
Inclusione attraverso la formazione
Con questi obiettivi, sono diverse le iniziative qui avviate, tra cui il progetto Maneo, nel 2019, indirizzato a una quindicina di titolari di protezione umanitaria per favorire l’inclusione attraverso la formazione professionale e l’inserimento lavorativo. Il progetto nasce nell’ambito della campagna “Liberi di partire, liberi di restare”, sostenuta dalla Conferenza episcopale italiana che ha coinvolto anche il Centro diocesano di formazione professionale “Opera Monte Grappa”.
Sito web e magazine per farsi conoscere
Nasce per far conoscere lo straordinario modello di accoglienza che qui ha preso forma, il progetto di comunicazione d’autore curato da Matteo de Mayda, fotografo rappresentato dall’agenzia Contrasto e con base a Venezia, da anni impegnato in progetti di carattere sociale, Marco De Vidi, giornalista che si occupa di cultura, con attenzione al rapporto tra arte e società, lo studio di graphic design Bruno e lo Studio Folder, agenzia di design e ricerca.
Attraverso il sito web dedicato casagiavera.org, una mappa interattiva, un magazine cartaceo e consultabile online e una playlist, il lavoro vuole rendere le persone coinvolte protagoniste di un percorso e di scambio, con attenzione alle fragilità e sensibilità di ognuno. Le storie di vita di chi passa per questo luogo diventano così occasioni di confronto e riflessione collettiva.
I brani amati dagli ospiti in una playlist
Riccardo, un autista volontario che ha aiutato i ragazzi mentre frequentavano le scuole serali, Marika, una volontaria del laboratorio di conversazione che si è svolto anche online, El Maki che dà il benvenuto a ogni ospite preparando il tè con le foglie di menta dell’orto, come si fa in Marocco, mentre Yusuf prepara il pane del Pakistan che si chiama “roti”: attraverso lo sguardo di Matteo de Mayda, i ritratti degli ospiti, degli operatori e dei volontari, si alternano nella vita dentro la casa, tra i ritmi, la cultura e gli interessi di chi la abita ogni giorno. Ma il racconto coinvolge anche chi è uscito, come Seydou del Burkina Faso che lavora in un’azienda metalmeccanica e studia per aprire un ristorante nella sua città e che torna spesso alla casa dove ha vissuto. Non mancano le foto della scatola dei ricordi con le immagini di oggetti significativi raccolti in trent’anni e la playlist con i brani preferiti degli ospiti, da ascoltare su Spotify.
“La capacità di comunicare questo modello di accoglienza, ha fatto sì che Casa Giavera diventasse un punto di riferimento per queste tematiche. Nel tempo si è creata una sensibilità in ordine all’accoglienza e al desiderio di costruire percorsi di integrazione, di autonomia, di reciprocità - riflette don Davide Schiavon, direttore di Caritas Tarvisina -. La prospettiva negli anni a venire è quella di continuare sulla sfida culturale e di fare della casa un luogo formativo e di conoscenza sul campo”.

La nascita del Giavera Festival
Fin dall’inizio, infatti, Casa Giavera si è posta in dialogo con l’esterno, nei suoi spazi si sono tenute presentazioni e laboratori sull’interculturalità, sono stati organizzati viaggi nei Paesi d’origine degli ospiti, tessendo connessioni con realtà e associazioni in tutto il mondo.
Decine di volontari e gruppi di giovani partecipano ogni anno a iniziative, come i corsi di italiano, incoraggiando la nascita di conoscenza e amicizia con gli ospiti.
Giavera Festival è nato con lo stesso spirito, come occasione di festa e di apertura della casa, dal 1995 con musica, danza, cucina dal mondo, teatro, presentazioni di libri.
La possibilità di incontrare le persone
“Occorre mantenere viva più che mai la possibilità dell’incontro - afferma don Bruno Baratto, direttore di Migrantes, a Casa Giavera da oltre 25 anni -; il modo più efficace, forse l’unico, per superare un po’ di pregiudizi è quello di incontrare le persone. Questo luogo ci dice che qualcosa si può fare, Casa Giavera mette insieme e fa incontrare provenienze esistenziali, culturali, religiose parecchio diverse:  una piccola utopia concreta che, come abbiamo visto, può funzionare”.

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