Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Sindacato unico: e se prendessimo sul serio la sfida di Renzi?
Il segretario Cisl di Treviso-Belluno interviene sul dibattito avviato dal premier. I cittadini trarrebbero vantaggio da un sindacato “unitario"
“Com’è nel suo stile, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi continua a sollecitare il Sindacato con modi e forme poco inclini al “fair play”. E’ di qualche giorno fa la proposta di dare vita ad un “sindacato unico” quale antidoto al suo declino.
A questa dichiarazione il sindacato - tutto il sindacato - risponde che Renzi sbaglia, divide, provoca.
Non è che Renzi - specie in materia sindacale - le abbia azzeccate tutte, anzi. Questa volta però penso che sia opportuno raccogliere la sfida.
Non serve attardarsi in dispute terminologiche (“sindacato unico”, “sindacato unito”, “sindacato unitario”) enelle loro possibili conseguenze (“il sindacato unico esiste solo nelle dittature”), ma è necessario fare attenzione al merito della proposta, e per questo mi spiace che la Cisl non sia uscita dal coro della risposta scontata.
Il passaggio epocale che stiamo attraversando ha rimesso in discussione i precedenti equilibri economici, sociali e politici. Il sindacato era parte di questi equilibri ed è naturale che ora sia in crisi, come lo sono tutti quei soggetti che hanno esercitato ed esercitano funzioni di rappresentanza sociale o politica. Del resto, è fin troppo semplice mettere in evidenza come gli attuali interessi dei lavoratori e dei pensionati non siano più gli stessi di qualche tempo fa.
A testimonianza di quanto affermato c’è il dibattito che si è sviluppato attorno alla sentenza della Corte Costituzionale e alle conseguenti decisioni del Governo in materia di rivalutazione delle pensioni, in cui il sindacato rischia di non sapere che pesci pigliare. Da una parte c’è la diffusa consapevolezza che le attuali disponibilità economiche non consentono troppe fantasie; dall’altra c’è chi continua a rivendicare il pagamento di tutti gli arretrati, rischiando però di confondere diritti e privilegi. Si rischia così di denunciare lo scandalo dei vitalizi o delle “pensioni d’oro” per essere a posto con la coscienza, ma si finisce con l’evidenziare la propria incapacità di rappresentare e di ricomporre bisogni e interessi profondamente cambiati.
E allora perché non provare a prendere in considerazione l’ipotesi di un sindacato “unico” (o “unitario”, che dir si voglia)? Non c’è alcun dubbio che i lavoratori ne trarrebbero grande vantaggio, se non altro perché le ragioni del lavoro non sarebbero mortificate da rappresentazioni differenti e persino contrapposte, come avviene oggi. Del resto in Germania il sindacato unico (DGB) non è sinonimo di “sindacato di regime”, anzi.
Questo però comporterebbe il radicale ripensamento delle nostre strategie, la rimessa in discussione dei nostri riti e delle nostre liturgie, che invece continuano a essere riproposte più o meno stancamente e inutilmente. In ogni caso è certo che le ragioni, squisitamente politiche, che sono state alla base della nascita del sindacalismo nel dopo guerra, oggi non hanno più ragion d’essere, o comunque rischiano di non produrre più giustizia, risultando sempre meno efficaci.
Dobbiamo invece rinvigorire la forza di un sindacalismo al passo con i tempi nello stretto rapporto con i lavoratori (vecchi e nuovi), lasciando perdere le inutili e perdenti legittimazioni dell’interlocuzione politica e istituzionale. Non è un ‘tavolo verde a Palazzo Chigi’ ciò di cui abbiamo bisogno, ma della capacità di ascoltare le nuove domande dei lavoratori e dell’intelligenza di dare loro nuove risposte.
Per far questo dobbiamo però uscire dalle nostre rendite di posizione acquisite negli anni, prima che sia davvero troppo tardi. Questo è il grande lavoro che ci aspetta.”