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SEMI DI SPERANZA. Sguardi altri per riconoscere insieme la spiga

E’ una scelta che siamo chiamati a fare: decidere come cristiani di aprirci a sguardi diversi, che abbiano in comune la volontà di vedere con speranza. Una speranza non a poco prezzo, ma fondata sulla presenza del Crocifisso Risorto dentro le nostre vicende, a condividere le nostre ferite e le nostre morti e a donarci l’energia della sua vita di Pasqua.

01/06/2020

E’ stato un tempo complesso quello che abbiamo appena vissuto, e forse lo è di più il panorama al quale ci stiamo affacciando in questi giorni di “apertura”, fra timori e desideri, rischi e rabbie più o meno inespressi. Se ripenso a quanto è stato, mi si aprono davanti agli occhi alcune situazioni che provengono dai mondi di esperienze rappresentati dai migranti, con la varietà di sguardi che ne fanno parte. Il dialogo con le comunità cattoliche cosiddette “etniche”, il servizio con i richiedenti asilo, le vicende inedite di alcuni gruppi rom e sinti, i contatti con le comunità musulmane hanno provocato lo sguardo mio e di altri che hanno avvicinato queste realtà.

Molte delle esperienze condivise da tutti sono state vissute in modo assai simile anche da queste persone, e il desiderio di riprendere a incontrarsi “in presenza”, il tornare a una vita sociale più ordinaria, sia dal punto di vista umano che da quello religioso, il voler rimettersi al lavoro al più presto sono certamente ciò che accomuna tutti. Come pure in molte famiglie di migranti si è vissuto questo tempo di ristrettezza come invito forte ad imparare che cosa sia davvero necessario, dal versante materiale e dal versante delle relazioni e del vivere. In vari casi si è però anche rivalutato un “insegnamento familiare” con dei valori tradizionali a cui i più giovani non facevano in precedenza attenzione: la famiglia come luogo importante di sostegno reciproco, una fede e una preghiera semplice ed essenziale, la ri-connessione con i propri affetti via web nei Paesi di origine... Si è allargato lo sguardo e il sostegno anche ad altri gruppi della propria nazionalità presenti in Italia, oltre le “zone rosse” in cui si era confinati.

Da parte di costoro, quindi, si è affrontato il tempo della “quarantena” anche cogliendo con immediatezza appelli che possono indicare “semi di speranza” diversi: tra questi, uno sguardo sulla morte che l’avverte più familiare, in quanto “naturalmente” parte della vita nella sua ricchezza e fragilità. Fra i richiedenti asilo c’è stata capacità di resistere in un tempo ancor più “sospeso” in cui non è chiara la sorte del proprio status, legato a una domanda di protezione di cui è ulteriormente ritardata la risposta: si è messo in atto uno “stare nella precarietà” che non pretendeva soluzioni immediate.

Si è attivato cioè un seme di pazienza e di capacità di reggere nei tempi di incertezza, che magari noi fatichiamo a valorizzare. Il blocco di fiere e sagre ha colpito i gestori di spettacoli viaggianti (“giostrai”), molti di questi di etnia sinti, proprio all’inizio della stagione, e in tanti si sono rivolti alla Caritas per un aiuto alimentare. La creazione di una rete di intervento valorizzando il coordinamento di Migrantes, con chi già da tempo lavora con rom e sinti, e i centri di distribuzione Caritas sul territorio, ha permesso di rispondere con criterio e attenzione alle singole situazioni, anche facendosi tramite con i Comuni. Si sono create così occasioni di incontro che magari possono aiutare a superare sguardi pregiudiziali reciproci tra questi gruppi e il mondo ecclesiale. Nei contatti con le comunità musulmane il percorso di frequentazione e di fiducia cresciuto negli anni, grazie alle relazioni personali e ad iniziative comuni ha portato ad una preghiera interreligiosa da parte di alcuni preti e di alcuni imam del trevigiano, “O Dio, nella tempesta ci affidiamo a te”, ma anche ad una maggior attenzione reciproca nel tempo della celebrazione della Pasqua e del Ramadan.

L’adesione alla preghiera interreligiosa del 14 maggio appoggiata da papa Francesco si è tradotta nel Veneto come invito all’Iftar di luce, a vivere cioè il pasto della sera di Ramadan come partecipazione a questa iniziativa. Vi sono state anche donazioni all’Ulss per le emergenze della pandemia. Qui il seme di una fiducia reciproca si rafforza nella preghiera per il bene di tutti e può aprire ad ulteriori occasioni di collaborazione e vicinanza. Sono tutti esempi di quanto in questo tempo è stato seminato di bene. Ma il seme è qualcosa di piccolo, spesso nascosto sotto terra: abbiamo bisogno di occhi che ne sappiano riconoscere la presenza. “La speranza vede la spiga quando i miei occhi di carne non vedono che il seme che marcisce” (don Primo Mazzolari). Forse questi “sguardi altri” possono arricchire anche i nostri occhi, aiutandoli a vedere la varietà di semi seminati nel terreno del nostro vivere insieme, e i loro possibili frutti.

E’ una scelta che siamo chiamati a fare: decidere come cristiani di aprirci a sguardi diversi, che abbiano in comune la volontà di vedere con speranza. Una speranza non a poco prezzo, ma fondata sulla presenza del Crocifisso Risorto dentro le nostre vicende, a condividere le nostre ferite e le nostre morti e a donarci l’energia della sua vita di Pasqua. Saremo allora più capaci di coltivare e custodire insieme quei semi, qui e altrove nel mondo. Perché ora ancor più abbiamo bisogno che tanti semi concreti di speranza, fatti di gesti, scelte, comportamenti attenzioni e coltivati con fede, diano frutti generosi di amore quotidiano, gioioso, tenace, per superare ogni emergenza verso una vita che sia degna di essere vissuta. Da tutti. In tutto il mondo.

*direttore Migrantes

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