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Referendum: ora dare risposte: senza fare “catenaccio” e senza finire in fuorigioco

E' chiaro che la partita vera, perché è l’unica oggi giocabile, è quella della trattativa con il Governo sull’autonomia. Vale allora la pena di percorrere questa strada con responsabilità. E con spirito di unità, piuttosto che di parte.

26/10/2017

L’esito del referendum sull’autonomia in Veneto e (in misura minore) in Lombardia ha riacceso i riflettori sulla nostra regione e sulle aspirazioni della nostra gente a vedersi riconosciuta dallo Stato una maggiore autonomia.

Chi vive qui sapeva che la questione è sempre sentita. L’affluenza consistente (57,2% senza che, in pratica, i cittadini che vivono all’estero potessero votare) era stata in qualche modo prevista da sondaggi della vigilia. Ma questo non toglie che si sia trattato di una partecipazione decisamente alta. Se la uniamo al “bulgaro” 98,1% dei sì, non c’è dubbio che il referendum sull’autonomia è stato un grande successo. Una vittoria dei veneti, hanno detto in molti. Ma anche una vittoria di chi ha proposto l’iniziativa, a partire dal presidente della Regione Luca Zaia.

La sorpresa maggiore, però, arriva dal vedere che il risultato non era stato minimamente previsto fuori dal nostro territorio regionale. Il trionfo dei sì è stato accompagnato dai politici e dai media nazionali  con un misto di sorpresa e fastidio. Perfino il “capo” di Zaia, Matteo Salvini, impegnato nel costruire la sua Lega nazionale, non si è scomodato più di tanto a festeggiare. E, invitando tutte le altre regioni “a fare un referendum come il Veneto”, ha indirettamente cercato di sminuire la singolarità della questione veneta.

Eppure, tutti dovrebbero sapere che nella nostra regione il fuoco cova sotto la cenere da vent’anni (proprio il 1997 fu l’anno dell’assalto al campanile di San Marco da parte di un gruppo venetista). E che alla giusta richiesta arrivata dal Veneto i governi nazionali, di tutti i colori politici, non hanno mai dato risposte.

Per la verità, una parziale risposta arrivò nel 2001. L’allora maggioranza di centrosinistra - non tanto per convinzione, ma nella speranza di togliere qualche argomento alla Lega di Bossi - approvò alcune modifiche alla Costituzione. Fu approvato l’attuale articolo 116, quello che prevede, per le Regioni, la possibilità di gestire direttamente alcune materie (ne vengono individuate 23). Un’ autonomia a “geometrie variabili”, basata sul principio di sussidiarietà verticale.

Proprio l’articolo 116 diventa ora la leva per arrivare alla possibile autonomia, da ottenere con una trattativa da condurre in modo serio con il Governo, che ha confermato in questi giorni la sua disponibilità a sedersi ad un tavolo.

E qui arriviamo, necessariamente, alla gestione del post referendum, la partita più delicata. Oggi, infatti, in un tempo di forte disaffezione, è più che mai delicato “interpretare” la volontà popolare, ma anche “giocare” con essa. Grande, dunque, è la responsabilità sia della classe dirigente della Regione, sia del Governo nazionale (peraltro attualmente in scadenza di mandato). Si può “giocare” con la volontà popolare rinviando le scelte e giocando al ribasso. Ma anche “chiedendo troppo”, con il conseguente rischio di non portare a casa nulla. Si può fare “catenaccio”, ma anche finire in fuorigioco.

Non si può, allora, che partire dall’oggettività politica e giuridica che il referendum ha portato con sé. L’oggettività politica dice che il numero dei sì (2  milioni e 273.985 voti) è maggiore rispetto alla somma ricevuta da tutti i candidati delle ultime Regionali messi insieme (2 milioni 212.204 voti). Questo significa che, pur in misura diversa (e magari dando alla scelta accentuazioni diverse) il voto di domenica è stato comunque trasversale, non di un solo partito o di una sola coalizione.

L’oggettività giuridica ci porta a dire che il variegato popolo del sì ha chiesto alla Regione di aprire una trattativa con il Governo per vedersi attribuire alcune materie oggi gestite dallo Stato. Lo stesso popolo del sì  vorrebbe (probabilmente, forse, può darsi, chi lo sa…) un Veneto a Statuto speciale… Ma non era questa la domanda che gli elettori hanno trovato sulle schede. Dal punto di vista “politico”, le richieste avanzate dal presidente Zaia lunedì scorso, sulla scia dell’entusiasmo (Statuto speciale e mantenere i nove decimi del gettito fiscale) sono comprensibili. Ma è chiaro che la partita vera, perché è l’unica oggi giocabile, è quella della trattativa con il Governo sull’autonomia. Vale allora la pena di percorrere questa strada con responsabilità. E con spirito di unità, piuttosto che di parte.

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