martedì, 17 settembre 2024
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Nel 2015 riprendiamo a fare società

Molti sostengono che il 2015 dovrebbe essere l’anno della svolta, ma credo che dovremo aspettare ancora. Dopo decenni di individualismo consumistico senza limiti e l’aumento incontrollato delle disuguaglianze, è dura riscoprire il senso dello stare assieme. Cosa, infatti, riesce a tener insieme una società se non un’idea comune di futuro?

Come evidenziava Giacomo Leopardi nel suo “Dialogo tra un venditore di almanacchi e di un passeggere”, la convinzione che domani, l’anno che verrà, staremo meglio di quello trascorso, rimane sempre forte e incrollabile. “Per fortuna!”, verrebbe da dire.
Molti sostengono che il 2015 dovrebbe essere l’anno della svolta, ma credo che dovremo aspettare ancora. E’ pur vero che le crisi prima o poi si superano, ma quando “il cambiamento in sé” diventa strutturale, stabile, permanente, allora i buoni auspici per il futuro assumono le sembianze dell’ottimismo di maniera. Il cambio d’epoca che stiamo vivendo è destinato a durare ancora a lungo, perché non riguarda solo l’economia, ma anche la società, la politica, le istituzioni, la cultura.
Condivido la valutazione della presidente di Unindustria Treviso quando afferma che c’è una “società che sembra aver smarrito il senso del proprio stare assieme”. Ma dopo decenni di individualismo consumistico senza limiti e l’aumento incontrollato delle disuguaglianze, è dura riscoprire il senso dello stare assieme.
Cosa, infatti, riesce a tener insieme una società se non un’idea comune di futuro? Finora questo compito è stato assolto in buona parte dalla costante crescita economica che ha garantito un diffuso benessere: ma ora che tale crescita si è arrestata e comunque non potrà essere illimitata? Dopo sette anni di crisi economica che ha ridotto del 6% il Pil dell’Italia (che è passata dal 5° al 12° posto nel mondo), del 25% la produzione industriale, del 50% l’attività edilizia e che ha aumentato di oltre 30 punti il debito pubblico, del 19% le tariffe pubbliche, del 50% la tassazione fiscale, di un milione i lavoratori disoccupati, che altro di peggio potremmo aspettarci?
Occorre, quindi, trovare altri obiettivi e ragioni per stare assieme ed è proprio qui che si colloca la necessità di operare quel cambio di mentalità – o meglio, di cultura - senza il quale ogni ripresa economica sarebbe solo transitoria e instabile.
Che aspettarsi dunque, nel territorio trevigiano e bellunese, per il 2015?
Occorre trovare risposte nuove, attraversando le contraddizioni di un mondo che ci pone sempre nuove domande e non rimanendo ancorati al passato, alla retorica dei diritti e alla nostalgia del tempo che fu.
Per quanto riguarda il mondo dell’economia e del lavoro, occorre mettere al centro il concetto di impresa come bene comune e non come bene di famiglia, lavorare sul buon funzionamento della pubblica amministrazione e non sulla difesa di interessi particolari, agire consapevolmente per produrre valore e non vivere di rendita, investire e non solo consumare. Questo può essere il terreno d’incontro di tutti. Il 2015 sarà solo una tappa in questo lungo e faticoso cammino. Prenderne consapevolezza e agire di conseguenza non è esercizio di pessimismo ma stimolo positivo per trovare le giuste risposte.

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