Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Migranti: da noi come in Libia? Uno spunto di riflessione
Forse anche chi legge queste considerazioni sarà andato a vedere “Io capitano”, il celebrato e recente film che narra, tra la realtà e qualche accenno di fiaba, il percorso di un ragazzo senegalese di sedici anni verso l’Europa e l’Italia. Quando ho sentito la norma del decreto governativo pubblicato il 22.9.2023 sulla Gazzetta ufficiale circa la “cauzione” di 5.000 euro che un migrante arrivato irregolarmente in Italia, con i barconi o per la rotta balcanica, deve versare per non essere internato nei Centri di permanenza per il rimpatrio, e poter attendere in libertà l’espulsione e il rimpatrio obbligato, ho rivisto la scena in cui un sedicente “mediatore” terrorizza i migranti sequestrati in prigione all’arrivo in Libia dal Sahara. Dice loro che non sono nelle mani della polizia, ma della mafia libica, e rimarranno in carcere se non pagheranno 4.000 dollari. Ed è sufficiente che gli diano il numero di telefono di casa, penserà lui a chiamare i loro parenti per organizzare questo giro di denaro necessario per essere lasciati liberi. Altrimenti rischiano di esser torturati, come accade a quelli che gridano dalla cella accanto... Mi sconvolge che in un Paese democratico, nel mio Paese, un decreto del Governo possa imporre norme per certi aspetti simili. E appena un giudice dichiara illegittimo un tale provvedimento, subito un ministro di questo Governo salta su a dire che bisognerà metter mano con urgenza a una riforma della Giustizia.
Al di là di un’analisi puntuale sulla dubbia efficacia e legittimità dei provvedimenti governativi finora messi in campo in merito, e sui loro costi umani ed economici, mi pongo fin da ora due domande su cui sarebbe urgente riflettere, rimandando a un altro intervento il loro approfondimento: la prima, se abbiamo conoscenza della situazione che si sta creando sul bordo d’Europa, quali ricadute sul piano umanitario e sulle relazioni tra i vari Stati avvengano quando i confini vengono esternalizzati, cioè delegati ad altri, a sud, alla Libia in pieno caos istituzionale, oppure a est, con la Turchia, e non solo.
La seconda domanda: abbiamo consapevolezza, noi gente d’Italia, dell’urgenza che una crisi demografica senza precedenti ci impone, per cui abbiamo immediato bisogno di uomini e donne che possano ora, e non fra vent’anni, sostenere con il proprio contributo lavorativo e sociale la nostra sempre più fragile organizzazione socioeconomica (non solo pensioni, ma anche sanità, scuola, sicurezza, fino alla raccolta e allo smaltimento delle immondizie), considerando che provvedimenti strutturali, ancora di là da venire, chiedono comunque almeno vent’anni per portar frutto? Certamente a patto di creare a chi arriva condizioni di inserimento nel lavoro e nella società, per contrastare la percezione di insicurezza e paura dilaganti.
A margine, un’ultima domanda che riguarda il nostro agire quotidiano: tra quelli che hanno apprezzato il film “Io capitano”, qualcuno ha avvertito poi la curiosità, il bisogno, di andare a incontrare coloro che quell’esperienza l’hanno vissuta in prima persona, ospiti nelle case di accoglienza del nostro territorio o che possiamo incrociare per le strade dei nostri Paesi? La pur importante narrazione cinematografica rischia di esser troppo presto dimenticata, insieme ai mille stimoli cui siamo sottoposti. Forse, invece, i volti e le storie incontrate faccia a faccia possono produrre semi di reale cambiamento per una riflessione altra, per un diverso modo di affrontare la questione. (*direttore diocesano Migrantes)