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Macerata: e poi?

Stragi come quelle di Macerata fanno pensare all'attuale condizione dell'Italia e Europa nei confronti del flusso migratorio. Riflessione del direttore dell’ufficio Migrantes della diocesi di Treviso sulla sparatoria contro gli stranieri: l'inquietante ritorno dell'odio razziale, anche a causa di chi alimenta ed amplifica le paure, ma piuttosto per una gestione poco sensata del fenomeno migratorio.

08/02/2018

Una cosa va subito detta, sottolineando quanto scritto da altri: “Gli spacciatori nigeriani vanno arrestati, non perché nigeriani ma perché spacciatori. Gli italiani che sparano agli africani vanno arrestati, non perché italiani, ma perché autori di un delitto”. Sono due comportamenti criminali, e come tali vanno trattati, non come nemici in guerra in due campi opposti, sui quali siamo chiamati a schierarci. Punto. Detto questo, nel gesto scellerato di Luca Traini a Macerata c’è un’ipotesi di reato che mi turba profondamente: “Strage aggravata da odio razziale”. Certo, non è uno scherzo l’accusa di strage, a quanto pare questo voleva chi è uscito a sparare. Ma “odio razziale” è una definizione che mai avrei pensato di sentir riecheggiare in Italia. Mi sembra così aliena rispetto al nostro humus culturale, che pure riconosco ha prodotto fascismi e brigatisti e stagioni stragiste. Ma quel fantasma lo consideravo impigliato nelle maglie di una stagione storica, e preferivo tentar di comprendere i fenomeni di rigetto dell’immigrazione come xenofobia, paura del “foresto”, non come “odio contro un’altra razza”. Ogni indagine scientifica seria ha confermato che la parola “razza” nei confronti dell’umanità può essere usata sensatamente solo al singolare, visto che non esistono differenti “razze umane”. Eppure, in quei termini “odio razziale” si avverte la consapevolezza che un vocabolario razzista sta distorcendo la realtà stessa, dando origine a sentimenti che invocano la violenza della purificazione e della pulizia etnica, per salvaguardare la propria sicurezza. Troppe parole simili stanno alterando il senso di una realtà condivisa, di quel sentire comune che contribuisce a costruire ogni giorno una “patria”, un luogo ove possano abitare insieme tutti coloro che vi si trovano, ove costruire una terra reciprocamente ospitale. L’odio razziale espresso dalle azioni violente di Traini rischia di farsi interprete di troppi disagi diffusi, così come fa presente il suo legale: “A Macerata mi fermano per strada per fargli arrivare messaggi di solidarietà”.

Gestione poco sensata delle migrazioni

Da quali profondità si reincarna questo spettro? Non credo soltanto nei disagi di un giovane che ha frequentato idee naziste, e ha considerato questo gesto contro “gli spacciatori negri” come opera di purificazione e di salvezza (e chissà, modo per riscattare i propri fallimenti e disagi). No, credo piuttosto abbia preparato il suo ritorno una gestione poco sensata degli immigrati e delle migrazioni, dapprima nel lungo periodo, senza percorsi sufficientemente articolati di inserimento e di inclusione. E poi nella gestione spesso abborracciata dell’ultima “mutazione” delle migrazioni, nella quale si tenta di entrare in Italia attraverso la richiesta d’asilo, sia che si provenga da luoghi martoriati da conflitti armati, sia da popoli sottoposti a guerre e neocolonialismi economici e culturali. Nel caso degli immigrati di lungo periodo, si confidava che i processi originati dalla frequentazione quotidiana potessero rendere efficace una “soluzione all’italiana”, capace di ovviare ai rischi di modelli più sofisticati, come quelli francese o inglese. Nel caso dei richiedenti asilo, si è gestita con fretta emergenziale una dinamica che si presenta a sua volta perlomeno di medio periodo, senza curare la parte essenziale per la sicurezza della gente: ossia far crescere le relazioni, possibili solamente quando gli insediamenti sono diffusi in piccoli nuclei nel territorio e sono organizzati con professionalità e attenzione per l’inserimento, invece di ricorrere a guadagni economici che nascono nelle grandi concentrazioni.

Le paure alimentate

E così siamo tornati alla paura, paura delle malattie che portano gli immigrati e dei posti di lavoro rubati e dell’aumento della criminalità, voci tutte non vere, diciamolo ancora, smentite dalle cifre e dalla quotidianità delle cose. Ma alimentate alla grande per fare cassetta di facili consensi. E un fatto grave come una ragazza morta di overdose, il corpo smembrato per occultarne il cadavere, scatena la lucida follia di un giovane forse già fragile, ad aggiungere violenza a violenza. Ma ancor più a reincarnare l’odio razziale. Di questo dobbiamo preoccuparci fortemente, e intensificare azioni che sappiano far crescere invece solidarietà e sicurezza fra tutti coloro che abitano questo paese, non piuttosto esclusione e violenza gli uni contro gli altri.

L’impegno dei cristiani

Come cristiani siamo chiamati una volta ancora a riconoscere che la “moltitudine immensa che nessuno poteva contare” citata nel libro dell’Apocalisse proveniva da “ogni nazione, tribù, popolo e lingua” e aveva “lavato le vesti nel sangue dell’Agnello”. Dobbiamo ancora una volta testimoniare nei fatti che siamo salvati e purificati non dal sangue che altri sono costretti da noi a versare, ma dalla vita liberamente offerta da Colui che ha dichiarato prossimo proprio chi era considerato nemico. Il nostro impegno civile, in questo difficile momento del nostro Paese, deve allora diventare scelta di costruire ponti e di criticare con fermezza chi invece costruisce muri armati. Anche magari gestendo male lo “stato delle cose” attuale.

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