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La "sicurezza" del Natale. Cinque uffici diocesani sul recente provvedimento

E’ diventato legge dello Stato il “decreto sicurezza”, con misure restrittive ben precise nei confronti degli immigrati, destinate tra l’altro a creare un considerevole aumento di stranieri irregolari sul territorio. Una società dove la sicurezza è affidata solo alla forza, dove aumenta la conflittualità sociale, è davvero più sicura? E siamo proprio certi che tutto questo sia compatibile con il Vangelo?

21/12/2018

A Natale celebriamo Dio che si fa uomo, “fino alla fine”, fino a morire su una croce: è la sua scelta di “farsi prossimo” a coloro che già 2000 anni fa erano ai margini della società civile e religiosa. Questo Natale Dio vuole viverlo anche con noi, nel nostro tempo. Ma quale storia viene ad abitare tra noi oggi?
Sembra una storia sempre più dominata da paure, che ci fanno sentire sempre meno “sicuri” e più minacciati nell’identità personale e culturale, nelle proprietà e diritti acquisiti, nella possibilità di fare “quello che voglio” e che sembra giusto per me, per “i miei”…
Quale logica nel decreto?
All’inizio di dicembre è diventato legge dello Stato il “decreto sicurezza”, con misure restrittive ben precise nei confronti degli immigrati. Il loro capitolo è stato unificato con altre norme, relative alla polizia o alla gestione dei beni sequestrati alla mafia, come a far passare che gli stranieri fanno paura, perciò vanno trattati come un problema di sicurezza. Per inciso, sono provvedimenti riguardanti i “richiedenti asilo”, cioè il 4-5% degli stranieri attualmente residenti in Italia. E’ un “anticipo” anche per tutti gli altri?
Solo per citare due passaggi: la cancellazione del permesso “per motivi umanitari”, che rispondeva all’articolo 10 della nostra Costituzione dando protezione per “gravi motivi umanitari”; la restrizione nell’accesso allo Sprar (finora Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che permetteva, insieme ai provvedimenti relativi ai Cas (Centri di accoglienza straordinari), di provvedere al tempo necessario per l’esame della domanda di asilo e per avviare un minimo di inserimento sociale. Ma in questo modo si creerà anzitutto un considerevole aumento di stranieri irregolari sul territorio, meno controllabili, a rischio di comportamenti devianti... Siamo sicuri di essere in grado di “rimpatriarli tutti”? I fondi messi a disposizione, fatti i conti, permetterebbero un rimpatrio di meno di 900 persone in tre anni… se dimezziamo i costi, arriviamo a… 2000? Rispetto ai proclamati 500.000 irregolari, o, da stime più prudenti, 250.000… Siamo sicuri che sia proprio questo il modo per “stare più sicuri”? Tra l’altro, i fondi destinati ai rimpatri sembra riducano a nulla i finanziamenti su servizi come i corsi di italiano e l’accompagnamento a formulare la domanda di protezione: rischiamo di ritrovarci con gente ancor più disorientata, alla quale risulterà oggettivamente ben più difficile capire come “rispettare le nostre leggi”.
E’ vera sicurezza?
Questi provvedimenti sembrano confermare che per garantire la “sicurezza” il modo unico e migliore sia usare la forza! Ma questo non rischia di dare spazio al peggio di noi? Non rischiamo così di legittimare, anche nei rapporti sociali quotidiani, un’aggressività sempre più spinta? Dove si fermerà questa tendenza? Agli immigrati? O raggiungerà anche tutti gli altri “diversi”? Diversi per sesso, o nelle abilità fisiche o mentali? Diversi nelle generazioni, con i “pochi” giovani contro i “troppi” anziani che li privano di futuro? O gli anziani contro i giovani che non vogliono sostenerli nella loro vecchiaia? Una società dove la sicurezza è affidata solo alla forza, dove aumenta la conflittualità sociale, è davvero una società più sicura? O la sicurezza davvero efficace nasce da rapporti positivi tra vicini di casa, di qualunque nazionalità, disposti ad aiutarsi reciprocamente per migliorare il bene di tutti? Una società che investa nella costruzione più ampia possibile di una coesione sociale e di un bene comune più inclusivi, nei quali l’uso della forza ha uno spazio ben delimitato: non sarebbe una “sicurezza” più reale, e nello spirito della nostra Costituzione?
Dio si fa “prossimo” alle nostre paure
A Natale, come cristiani, celebreremo la “sicurezza” di un Dio che continua a “farsi prossimo” alle nostre stesse paure e debolezze, ai rischi di violenza che ci abitano nel profondo, e proprio facendosi “prossimo” ci offre vie di salvezza… Siamo proprio certi che il tipo di “sicurezza” che sta prendendo piede in Italia sia compatibile con il Vangelo? O forse l’incarnazione di Dio in Gesù, celebrata a Natale, propone altri modi per “costruire sicurezza” in un mondo ieri e oggi turbolento e violento?
Chi aveva paura di lui, allora? Erode, un re ossessionato dal potere, che uccide senza scrupoli i suoi stessi figli, Hannah e Caifa, disposti a far morire un uomo pur di garantire la sicurezza del popolo di Israele ma anche i loro stessi privilegi, Pilato, che accetta di giustiziare un innocente pur di non creare problemi di ordine pubblico…
E noi oggi? Abbiamo anche noi paura di un Gesù che nasce tra i poveri? Abbiamo paura di esporci nei confronti dei deboli di turno? Noi, chi vogliamo “sacrificare”, pensando di ritrovarci più “sicuri” domani? Oggi gli immigrati… e poi? Ma siamo davvero sicuri che saremmo più sicuri? Ma saremmo ancora umani… e ancora cristiani?
Domande impegnative, per un Natale meno “pacifico”, ma forse un po’ più “cristiano”… Scelte impegnative da compiere, non solo come cittadini, ma ancor più come cristiani. (I cinque uffici di pastorale dell’Area Prossimità - Caritas, Migrantes, Pastorale sociale e del lavoro, Centro missionario diocesano, Pastorale della Salute)

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