martedì, 01 aprile 2025
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Ucraina, tre anni dopo: parla il direttore di Onu-Ocha

Da Kyiv Andrea De Domenico, di Camposampiero, direttore di Onu-Ocha (agenzia per il coordinamento degli affari umanitari), racconta la situazione in Ucraina. Sul dialogo di pace molte incognite, avvenga “nel rispetto di questo popolo”
Da Kyiv Andrea
De Domenico,
di Camposampiero, direttore di Onu-Ocha, racconta
la situazione
in Ucraina. Sul dialogo di pace molte incognite, avvenga “nel rispetto di questo popolo”

L’Ucraina si prepara a ricordare l’inizio del quarto anno di guerra. Continuano i bombardamenti sia nella capitale Kyiv ma anche nelle regioni del Donbass, di Zaporizhzhia, di Kherson, di Mykolaiv e di Sumy, dove la terza stagione fredda sotto assedio si fa sentire. Come negli inverni precedenti, per sfiancare ulteriormente la popolazione ucraina, la tattica russa mira a colpire il sistema energetico dell’intero Paese, coinvolgendo anche le infrastrutture civili.

Alla conferenza sulla sicurezza di Monaco, nei giorni scorsi, si è parlato di possibili negoziati di pace tra Russia e Ucraina, mentre da ambo le parti comincia a farsi sentire il peso dei mesi passati al fronte, dei costi della guerra e dell’inflazione a due cifre. Le cancellerie europee sono in fibrillazione, dopo che Donald Trump ha dato vita, per conto suo e in fretta, a dei negoziati in Arabia Saudita, senza gli europei, per mettere fine al conflitto russo-ucraino.

Le organizzazioni internazionali, con in prima fila le Nazioni Unite, hanno approntato programmi di aiuto, con particolare attenzione per chi, soprattutto nelle regioni sulla linea del fronte, continua ad avere difficoltà a soddisfare i bisogni più elementari, partendo dalle forniture di acqua e cibo, fino all’elettricità. Il quadro umanitario generale della nazione, dopo tre anni di guerra, rimane particolarmente grave, così come le violazioni dei diritti umani.

Abbiamo raggiunto il camposampierese Andrea De Domenico, direttore di Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari) a Kiev dal dicembre 2024, con una lunga esperienza nelle risposte alle emergenze umanitarie, e dopo aver coordinato, dall’aprile 2019 all’agosto 2024, l’ufficio Ocha nel territorio occupato palestinese.

Vista la sua esperienza in Palestina, si possono trovare delle affinità tra la guerra a Gaza e quella in Ucraina?

Innanzitutto, è molto difficile fare dei paragoni tra contesti che sono profondamente diversi. Ci sono, tuttavia, degli aspetti molto simili, e altri che sono profondamente diversi. Il primo degli aspetti comuni, nei contesti umanitari dove operiamo, è la sofferenza della gente. Quali che siano le ragioni scatenanti di un conflitto, tutti hanno questo effetto terribile per la popolazione civile. Se pensiamo all’impatto che ha avuto la guerra in Ucraina sul suo popolo e la quantità di gente che è scappata dal Paese, alle persone che ancora oggi sono costrette a lasciare le loro case lungo la linea del fronte, ai bombardamenti che colpiscono tutta l’Ucraina, si può capire quanto sia disatteso il diritto umanitario internazionale e la vocazione alla pace sottoscritta 80 anni fa con la firma dello Statuto delle Nazioni Unite. Questo vale, purtroppo, anche per la Palestina, la Siria, il Sudan e il Congo. Un secondo aspetto è legato allo sforzo della comunità umanitaria internazionale, dalle organizzazioni non governative nazionali e internazionali alle agenzie delle Nazioni Unite, per rispondere alle emergenze delle popolazioni colpite, loro malgrado, da questi eventi, attraverso operazioni umanitarie, spesso pericolose. 281 operatori umanitari sono stati uccisi nel 2024, un triste record. Un terzo aspetto che rende affini le guerre a Gaza e in Ucraina è la particolare generosità dei Paesi donatori, anche se nella prima le limitazioni all’assistenza umanitaria imposte da Israele hanno drammaticamente ridotto l’arrivo degli aiuti alla popolazione civile di Gaza. Il grande problema che vedo oggi è il forte disequilibrio di solidarietà rispetto alle aree di crisi, a cui si aggiunge il recente blocco americano agli aiuti. Questo fa capire come sia sempre più perverso il meccanismo di intrecci tra aiuti umanitari e obiettivi di altra natura, politica, economica, militare. Una differenza importante, invece, tra le due guerre, viene dal contesto territoriale e demografico. Nella Striscia di Gaza abbiamo una densità di popolazione di circa 6 mila persone per kmq, mentre arrivo in un Paese con una densità media di 50 persone per kmq.

Come influisce quest’ultimo aspetto nella vostra operatività?

Da un punto di vista di panorama della guerra che vedo qui, dove sono già stato sulla linea del fronte in diverse località, è certamente diverso da Gaza, dove c’è una distruzione quasi totale degli edifici. Qui è un po’ all’opposto. Certo, ci sono villaggi che sono stati completamente rasi al suolo, ma, in generale, la distruzione è meno visibile visto che ci sono molti villaggi sperduti nella campagna sconfinata... L’altro scenario completamente diverso e che incide nella nostra operatività è il rischio costante di bombardamenti in ogni città dell’Ucraina. Viviamo con la costante minaccia di incursioni e di allarmi che risuonano, soprattutto la notte.

Questi continui allarmi cosa comportano?

Creano stress, tensione e angoscia nella popolazione. Molti adulti e bambini hanno semplicemente paura. Altri hanno sviluppano un’atrofia a questi ripetuti allarmi missilistici, ma le conseguenze di carattere psicologico rimangono e molte persone lamentano angoscia e tensione, quotidianamente. Schegge di missili, bombe sganciate dai droni potrebbero colpire un quartiere lontano da dove abiti o cadere sul tetto di casa tua. Questa è una delle ragioni per cui la gente ha lasciato il Paese anche mesi dopo che la guerra era iniziata. Per lo stesso motivo, le scuole nella maggior parte del Paese sono ancora online, sin dai tempi del Covid.

In questi tre anni di guerra sono stati uccisi almeno 13 mila civili e ne sono rimasti feriti almeno 30 mila. Numeri meno pesanti rispetto ad altri conflitti in corso nel mondo?

È una domanda difficile. Un bambino o una donna uccisa è sempre una vita in meno, una vittima di troppo... Certo se pensiamo ai morti civili a Gaza, in 15 mesi di guerra, sono quattro volte tanti, rispetto a quelli di 3 anni di guerra in Ucraina. Ciò, però, non deve offuscare il nostro sguardo e sminuire la drammaticità di ogni vita persa e di ogni persona ferita.

La guerra in Ucraina sta entrando nel suo quarto anno dall’invasione su vasta scala nel febbraio 2022, le esigenze umanitarie, rimangono critiche...

In questa fase stiamo cercando di individuare le priorità tra le priorità, in anticipazione della riduzione dei finanziamenti per il 2025, ulteriormente pronunciata dalla sospensione dei finanziamenti statunitensi. Gli assi principali di intervento sono 4. Il primo riguarda la linea del fronte, lungo oltre mille chilometri, e che si concretizza nel portare assistenza alle persone, spesso anziane o malate, che decidono di rimanere a casa loro: dal cibo al riscaldamento, dall’approvvigionamento idrico ai servizi sanitari di base. È un lavoro pericoloso, che portiamo avanti insieme a partner locali, per il quale l’anno scorso abbiamo perso 10 colleghi. La seconda priorità rimane il supporto all’evacuazione per quelli che decidono di lasciare le zone lungo il fronte, e che generalmente sono le persone più indigenti e fragili. La maggioranza delle persone che aiutiamo lungo la linea del fronte sono anziani e persone con disabilità. La terza area di intervento sono le risposte ai bombardamenti in tutto il territorio ucraino. In concreto, interveniamo per riparare i danni provocati dalle esplosioni e il ripristino dei servizi di base, come l’elettricità e l’acqua. Le autorità locali sono straordinarie, in questo tipo di interventi. Noi completiamo il loro operato. Offriamo supporto psicologico alle persone, che vivono lo stress post-traumatico causato dalle esplosioni e dai lunghi mesi di guerra, cercando di aiutarle a convivere con i loro traumi. La quarta priorità riguarda la ricerca di soluzioni di medio e lungo termine per gli sfollati, gran parte dei quali dovranno reinventarsi una normalità, lontani da casa loro.

Oltre agli anziani e alle persone fragili, anche le donne sono state finora tra i principali destinatari degli aiuti umanitari?

Indubbiamente. Da un punto di vista umanitario, dei circa 12 milioni e 700 mila persone che come Ocha consideriamo in stato di bisogno, 45% sono donne, 15% bambini, 30% anziani e 14% persone con disabilità.

Quindi, il futuro del Paese attraverso il ruolo delle donne?

Certo, ma allo stesso tempo ha messo il dito su un altro grande capitolo complesso, che ci attende in un futuro relativamente prossimo: i veterani di guerra. Si stima ci saranno circa un milione di uomini che dovranno essere reintegrati nella società, con tutto il carico di sofferenze e di difficoltà che questi hanno vissuto.

Infine, gli sviluppi diplomatici di questi giorni dove stanno portando l’Ucraina?

In questi giorni in cui si parla di un dialogo russo-americano che potrebbe portare alla pace, ci sono molte incognite per il mancato coinvolgimento diretto degli ucraini. Non possiamo dimenticare che l’Ucraina è uno stato sovrano, che sta combattendo una guerra per difendersi da una aggressione e che merita di essere parte di questo dialogo. È difficile capire come sarà e dove ci porterà. Viene da chiedersi se sia possibile una “pace giusta”, e quali condizioni essa potrà avere. La “pace giusta” è un concetto soggettivo, e, quindi, la mia speranza è che ci sia il rispetto del popolo ucraino nel contribuire a definire i parametri e il processo che porteranno alla fine della guerra. Una pace che sia accettabile per la maggior parte della popolazione, dato che non si troverà una soluzione che accontenti tutti, purtroppo! Una pace costruita su gambe fragili rischierebbe di non durare non solo per l’Ucraina, ma anche per tutta l’Europa.

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