Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
La guerra in Ucraina deve finire
“L’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha dato una grande speranza alla gente semplice, ma anche ai politici. La sua promessa di far finire la guerra ci dà speranza, anche se ognuno di noi capisce che non sarà una vittoria, perché probabilmente dovremo rinunciare ai nostri territori”.
E’ la via d’uscita preferibile, in questo momento, secondo mons. Alessandro Yaslovetskiy, vescovo ausiliare della diocesi di Kiev.
La stanchezza per mille giorni di conflitto, cioè per quasi tre anni di guerra, è ormai il sentimento dominante: “La gente non si aspetta più la vittoria come nel primo anno di guerra. Vediamo che non è più possibile, che non abbiamo la forza per liberare i nostri territori occupati dai russi. Soprattutto, capiamo che bisogna finire questa guerra, perché ogni giorno muoiono tanti soldati, i cimiteri sono pieni, ogni giorno ci sono funerali dappertutto”.
E’ una tragedia pesantissima quella che ha colpito l’Ucraina, invasa e costretta a difendersi. E mille giorni di conflitto si fanno sentire: “Oggi - prosegue il vescovo ausiliare di Kiev - ho parlato con una giovane famiglia. La moglie, una giovane donna che lavora in un teatro qui nella capitale, mi ha detto che è delusa, che sembra che siamo ormai stati lasciati da tutti, che nessuno ci aiuta più, nessuno si interessa alla nostra tragedia. A Kiev, da un mese e mezzo, tutte le notti suonano le sirene e si sentono le esplosioni, e qualcuno muore. Ma anche a Leopoli, e in tante altre città, arrivano missili e droni, l’altro giorno è stata sterminata una famiglia con tre bambini... E il mondo sta zitto: sembra che per il mondo occidentale questa guerra sia diventata una cosa con la quale si può tranquillamente convivere”.
La sensazione dell’abbandono è forte. E il vescovo Yaslovetskiy, che ha studiato in Italia e che è venuto anche in diocesi di Venezia per raccontare il dramma ucraino e per pregare, si fa interprete di un sentimento collettivo di scoramento: “C’è delusione nei confronti dell’Occidente, che è un mondo in cui abbiamo creduto, un mondo forte che ci dava l’idea di essere pronto a lottare per i suoi valori. Sembra invece che l’Occidente si sia chiuso nei suoi confini: ha provato all’inizio a stare con noi, ma dopo un po’ si è stancato e oggi non reagisce tanto”.
Queste sensazioni hanno origine anche nei racconti fatti dai soldati che tornano dal fronte: “Sono tantissimi - riprende il vescovo Alessandro - perché non c’è una famiglia che non abbia un militare. Oggi ho parlato con un nostro soldato, e gli ho chiesto come sta. Mi ha risposto: «Vescovo, prega per noi perché da alcune settimane ci ritiriamo, uno o due chilometri al giorno. I russi sono forti, ci bombardano, noi non abbiamo armi sufficienti, loro sono numerosi e adesso ci sono anche i nordcoreani che sono venuti a aiutarli. Perciò, siamo deboli»”.
Per questa ragione, dopo tanti lutti e distruzioni, perfino l’elezione di Trump può rappresentare una svolta, di cui si avverte il bisogno: “Tanti dicono che, se Dio lo aiuta, riusciremo a finire questa guerra e gliene saremo grati. Per tutti noi, ormai, l’importante è salvare la nostra identità, la nostra nazione, anche se sarà a costo della sua integrità e dovremo rinunciare ad alcuni nostri territori”.